Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale-Anno II-Gen./feb. 2007, n.7
FRAMMENTI 

PILLOLE DI NARRATIVA

L'attesa di Maria
di Dejanira



Maria era morta da poco, ma il suo bel viso olivastro era già disteso e la figura snella, vestita di nero, si stagliava senza rigidità sul bianco letto. Dal collo scendeva un laccio d'oro e d'avorio con l'immagine giovane d'un uomo dallo sguardo fiero, ma dolce e dalle labbra carnose.
Le sue mani unite stringevano un rosario. Io, sua nipote Maria, allora adolescente, ero nascosta dietro un'antica credenza: la testa in tumulto, mentre la mente cercava di capire perché le persone che ami ad un certo punto spariscono e dopo, nel tempo, è come se non fossero mai esistite. Tutto di loro scompare, tutto s'addensa, come una coltre nebulosa che copre il mondo. L'oblio sembra cancellare le vite, i pensieri, anche i ricordi.
La morte era lì spavalda: ormai Maria non vedrà più la luce- pensavo- forse un'altra luce in un'altra vita, dalla quale noi mortali siamo esclusi. Era la prima volta che incontravo la morte.
E' passato tanto tempo, ma ancora adesso ricordo mia nonna com'era in vita, altera, inafferrabile, un po' severa, sempre vestita di nero, in lutto per la precoce morte di suo marito. Il lutto era una costante della sua anima che traspariva anche dalla sua triste fisicità. Aveva sempre gli occhi lucidi e le nervosi mani stringevano un rosario che filava come un fuso, mentre le labbra sussurravano preghiere alla Vergine o al Crocifisso.
Nel momento della morte, invece, il viso di Maria appariva sereno: le palpebre abbassate, le labbra addolcite in un leggero riso. Al collo il laccio brillava; mi sembrava che lo sguardo di mio nonno prendesse vita e il suo sorriso mi appariva più acceso, come ad esprimere che da quel momento potevano sorridere insieme.
Mentre piangevo, mi illudevo di vederli finalmente uniti: l'attesa di Maria era ormai finita- pensavo- il tempo senza tempo li attendeva e l'eternità li avrebbe fusi per sempre.
Sento l'esigenza, ormai diventata adulta, di poterne ricordare la vita, sperando che la sua bella anima fuoriesca dal proprio vissuto limpido e sofferto.
Maria si chiamava mia nonna materna, dolce nome incarnato perfettamente da lei per la sua bellezza morale e fisica. Questo nome arcaico non poteva infatti calzarle meglio.
Maria era sedicenne quando il ‘900 era ancora bambino, secolo pieno di fermenti scientifici e di tumulti intellettuali: le menti si spostavano verso le Americhe, per arricchirsi di idee e di esperienze e dall'Italia del Sud partivano i famosi “bastimenti” con uomini pieni di sogni misti a lacrime e solitudine.
Anche suo marito Giuseppe sarebbe presto partito dalla sua terra per amministrare un'azienda di caffè nell'America Latina e per dirigere una scuola di fisica e matematica da lui stesso fondata allo scopo di divulgare cultura e lavoro. Dunque l'attesa di Maria sarebbe iniziata di lì a poco.
Intanto la vita scorreva lenta: Maria, dolce e remissiva, viveva la sua bella adolescenza, studiava e sognava come le coetanee, sperando in un futuro promettente.
Il matrimonio era il traguardo ambito, il punto di arrivo per una ragazza di buona famiglia. Unire il suo destino ad un bravo ragazzo, onesto e capace, che l'avrebbe difesa tutta la vita, era il suo sogno semplice e nello stesso tempo grande.
Maria credeva che il matrimonio dovesse essere unico ed irripetibile e durare fino alla morte. I valori morali erano al primo posto, incisi nell'anima come i dieci comandamenti: ella era il prototipo di ragazza semplice e nello stesso tempo intransigente, sia verso di sé che verso il prossimo.
Aveva una bellezza non aggressiva, ma appariscente suo malgrado: bruna, snella, pur infagottata con vestiti che la invecchiavano, non passava inosservata, sia per i suoi begli occhi neri e profondi, sia per il portamento altero ma elegante che emergeva dai nobili tratti. I capelli scuri ed il collo lungo e sottile colpirono il giovane innamorato, che l'aveva già notata affacciata al balcone ed in chiesa, durante le feste comandate. Dopo occhiate furtive e complici, Maria era stata richiesta in moglie ai propri genitori, come si usava ancora ai primi del secolo scorso; timida e riservata, rispose prima sì al padre e poi al suo futuro sposo.
Dopo un breve fidanzamento, il matrimonio fu celebrato e sei mesi furono di felicità. Ma in seguito alla partenza del coniuge, iniziarono le traversie: separazioni lunghe e forzate ed attese sofferte caratterizzarono il loro matrimonio, anche se nonostante tutto, l'unione fu allietata da quattro figli. Ogni volta che mio nonno partiva, Maria rimaneva in attesa di un figlio che egli avrebbe conosciuto già fanciullo!
La famiglia cresceva nel culto paterno e i due coniugi erano legati da una corrispondenza fitta che sopperiva alla lontananza. Il sentimento che li univa doveva essere solido, perché il loro amore uscì rafforzato da questa prova e durò nel tempo, anzi divenne inattaccabile. Si aspettavano con grande tenerezza: quando si incontravano era come la prima volta. Maria sacrificò tutta la vita alla famiglia, non lamentandosi mai di essere lasciata da sola, anzi contenta che ogni venuta del suo Giuseppe lasciasse in lei un segno tangibile del loro amore. Tutto era felicità ed infelicità al tempo stesso: la sua vita fu un'attesa amara e dolce assieme.
L'attesa di Maria era un misto di sensazioni eterne come il tempo che scorre, le nuvole che passano, ed il vento che va. Il loro matrimonio fu un riproporsi continuamente, un mettersi in gioco continuo: ad una “morte” seguiva una “nascita”, nonostante tante situazioni cambiassero intorno a loro.
Potrebbe sembrare una bella favola, ma come tutte le cose terrene non poté esserlo completamente. Fu una storia d'amore integra e vera, costellata di sacrifici e di angosce, ma vincente.
L'attesa di Maria, a parer mio, non fu vana, ma eroica; fu un vissuto lucente come un brillante purissimo la cui luce acceca gli occhi e l'anima. La sua storia è un esempio di fulgida bellezza morale, un elogio alla donna, alla madre e alla compagna che con ammirevole abnegazione persegue il suo destino.
Dove lei riposa è scritto “sposa fedele che amò la famiglia e il suo uomo”: forse uno degli ultimi angeli del focolare domestico.

La novella “L'attesa di Maria” ha vinto il 3° premio del Premio Letterario Nazionale Maria Grazia Bartolucci, il 24 ottobre 1998 .
     
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