Un caso singolare nelle biografie degli artisti è che Plinio parla di “rilievi” (typoi) nella produzione di Eufranore, pittore, scultore in marmo e bronzista capace di colossi (circa 390-325 a. C.): originario del Peloponneso, aveva acquisito la cittadinanza di Atene, dove svolse la maggiore attività.
La coerenza formale dell'artefice nelle diverse tecniche, si rivela al confronto tra il Paride (originale in bronzo al Museo Nazionale di Atene), il Teseo che libera i ragazzi ateniesi dal Minotauro (in copia dal dipinto dell'Agorà di Atene) e il nudo del defunto nella stele marmorea dall'Ilisso al Museo Nazionale di Atene: qui la polita brillantezza dell'epidermide assomma allle analogie strutturali il valore della luce, e il fanciullo ai piedi del protagonista rimanda per situazione e rapporto dimensionale a uno dei salvati da Teseo.
La descrizione di un quadro perduto del maestro avvalora anche nel terzo personaggio della stele il ruolo assegnato alle comparse per l'espressione del contenuto globale. Nella simulata pazzia di Odisseo, l'itacese voleva evitare la partecipazione alla guerra di Troia: raggiunto dagli emissari degli Atridi, inscenava l'improbabile aggiogamento di un bove con un cavallo. Il paradosso si esaltava negli sguardi dei costernati visitatori, ancora avvolti nella veste da viaggio: palliati cogitantes (Plinio, “Storia naturale”, 35, 129).
Le parole si attagliano al doloroso stupore del padre ammantato nel rilievo funerario. Databile intorno al 340, il monumento si distingue dai frequenti episodi di commiato per un'ardua sperimentazione di origine pittorica: gli elementi della vita e della morte contrastano su direttrici indipendenti. Il dramma del trapasso è nel giovane che guarda verso di noi, alla vita che si svolge davanti la tomba.
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Teseo libera i ragazzi ateniesi dal Minotauro, affresco 60 d.C. circa; copia dal dipinto di Eufranore nel portico di Zeus Liberatore, sull'Agorà di Atene, 360 a.C. circa. Da Ercolano, cosidetta Basilica, forse Augusteo. Napoli, Museo Archeologico Nazionale (UDF, La Photothèque, Paris)
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Siede poggiando in obliquo sul pilastro che nel gioco di metafore è il segnacolo della stessa sepoltura: nella sinistra aveva il bastone da caccia. Lo spazio, più profondo quando c'era la cornice architettonica, è misurato dalle gambe incrociate nel riposo, dal sostegno visto di spigolo, dai gradini sui quali siede il fanciullo: piangendo, la testa reclinata sulle braccine intrecciate, si è addormentato.
Il sublime è nel sogno: il giovane è l'apparizione onirica, il concretarsi della visione del dormiente. Il carattere preternaturale del cacciatore è tradito dal cane, inconsapevole latore del messaggio: non può vedere il padrone perduto né avvertirlo all'olfatto, e pertanto si protende a riconoscere un odore familiare sui calzari del vecchio.
Diversamente dagli altri, il patriarca sta di profilo. Curvo nel pesante ammanto, guarda verso il figlio, ma non lo vede: con gli occhi sbarrati e la fronte corrugata soffre la precocità della morte come insolubile enigma.
Nel dissidio tra corpi sensibili e anima invisibile, tra realtà ed eterno, il bimbo assopito è l'intuizione di un'esistenza latente, la speranza di un nuovo principio.
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Giovane defunto presso la tomba, tra un fanciullo dormiente e il vecchio padre; stele attica, marmo pentelico, attribuita a Eufranore, 340 a.C. circa. Dal letto dell'Ilisso, Atene, Museo Nazionale Archeologico (Photographic Archive, Archaeological Receipts Fund, Athens)
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Paride, bronzo, opera di Eufranore, 340 a.C. cirba. Dal mare di Anticitera. Atene, Museo Nazionale Archeologico (Photographic Archive, Archaeological Receipts Fund, Athens)
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Paolo Moreno, cattedra di Archeologia e storia dell'arte greca e romana, Dipartimento di Studi storico artistici archeologici e sulla conservazione, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università Roma Tre (www.paolomoreno.it)
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