"La perdita del centro" di Hans SEDLMAYR
Un libro capitale per la storia della critica dall’arte del primo Novecento, nonché immancabile testo nella libreria di un cultore della materia è “La perdita del centro”, scritto nel 1948 da Hans Sedlmayr. Lo storico dell’arte austriaco incentra l’attenzione sui fenomeni artistici come conseguenza di una profonda crisi dell’uomo moderno, una crisi che si traduce nella perdita del senso identitario dell’uomo e della percezione della realtà in cui egli vive. L’uomo della prima metà del XX° secolo rinuncia ai punti di riferimento che per secoli avevano sorretto la cultura e la società, portando l’arte a un’azione sovversiva che sfiora il demoniaco, la cacodemonica, come la definisce Sedlmayr nel suo testo, ovvero un’azione maligna, infera, discendente. Scagliandosi contro le principali avanguardie astratte, lo storico dell’arte asserisce, rielaborando le teorie mistiche di Adalbert Stifter, che l’arte deve avere radice in Dio, nell’Assoluto, perché essa possa essere considerata esteticamente bella: l’uomo è creato a somiglianza della divinità, nel momento in cui ci si discosta, perde la propria identità, decade, trasmuta, si ibrida e ciò che produce non è più creazione ma mera creatività, un’ immagine incapace di trasmettere la propria forma a chi la osserva. L’immagine umana, così animata, assume i tratti primitivi e sintetici dei quadri di Picasso e Braque o i contenuti oscuri e caotici di quelli di Dalì e Magritte.
Sedlmayr colloca nel 1760 l’inizio delle tendenze disgregatrici della forma quando l’arte accusa i sintomi di una malattia endemica della civiltà occidentale, ovvero quando i moti antiumanistici hanno obnubilato il fulcro spirituale unitario della produzione artistica che aveva caratterizzato fino a quel momento l’arte sacra e quella profana. Se la scultura sembra rimanere immune da questa dinamica distruttrice, il prezzo più alto lo paga la pittura, la quale subisce da subito un grande sconvolgimento ponendosi, già nella scelta iconografica della rappresentazione delle tentazioni dei santi o della sofferenza di Cristo, come un luogo di turbamento. |
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Interessante è il passaggio in cui Sedlmayr demonizza l’opera di Goya scrivendo: “Qui questo mondo dell’orrido è divenuto immanente, connaturato al mondo; si è insediato nell’uomo stesso. Nasce così una nuova interpretazione dell’uomo, in genere. L’uomo si demonizza e non solo esteriormente. Egli stesso e il suo mondo vengono lasciati in balìa di forze demoniache. L’elemento infernale è preponderante, le forze contrarie stanno su una difensiva impotente e disperata. Nelle visioni dei “Sogni” e dei “Proverbi” compaiono tutte le deviazioni dell’elemento umano e gli attentati all’uomo e alla sua dignità; demoni in forme umane e, accanto ad essi, demoni allucinati di ogni specie: mostri, spettri, streghe, giganti, animali, lemuri, vampiri.” Nonostante questo, l’autore “salva” l’artista spagnolo (insieme a Friedrich e a Van Gogh) in virtù della desolazione solitaria e agghiacciante delle sue sanguinose visioni, nelle quali mantiene la dignità per l’immagine dell’uomo. Differentemente Hans Sedlmayr condanna le caricature di Daumier, che colpiscono la sacralità dell’immagine ridicolizzando la natura dell’uomo: “l’espressione dell’uomo si muta in una smorfia; egli sembra una caricatura, un aborto, una bestia, uno scheletro, uno spettro, un idolo, una bambola, un sacco, un automa; appare inoltre brutto, sospetto, informe, grottesco, osceno. Le sue azioni acquistano i caratteri dell’insensatezza, della menzogna, della commedia, della brutalità, del demoniaco. Chi non sapesse che cosa significano le caricature, le vedrebbe come un pandemonio proiettato nel mondo dell’uomo”. Ma la definitiva frattura tra arte e realtà avviene con Cézanne, il quale agisce nella condizione di pre-coscienza raffigurando la condizione del “puro vedere”, “quando gli occhi vedono, ma l’intelletto non partecipa ancora all’ elaborazione conoscitiva della visione”. Cézanne mina il rapporto tra uomo e realtà che condurrà al dissolvimento dell’Astrattismo. “Una tale arte, infatti, fa sì che l’uomo giunga – in contrasto con l’esperienza naturale – allo stesso livello delle altre cose. Subito dopo – nell’arte di Seurat – l’uomo apparirà come una marionetta, un manichino, un automa. |
Più tardi, nelle opere di Matisse, la figura dell’uomo non avrà un’importanza maggiore di quella che si dà a un disegno per carta da parati. Nei cubisti, l’uomo si ridurrà a un disegno costruttivo.”
La solitudine, il disfacimento, l’inumano, fino alla rappresentazione del sub-reale e dell’inorganico conquistano spazio nelle opere del primo Novecento, ma non solo: Sedlmayr definisce la transizione che avviene nell’arte a seguito degli effetti sociali e culturali della rivoluzione francese e di quella industriale: con il passaggio dallo spirituale al demoniaco, dall’organico all’inorganico, in cui la materia e il colore non sono più un mezzo con cui alludere all’umano, ma meramente al loro essere se stessi, si comprende dunque la posizione di Sedlmayr nei confronti dell’Astrattismo, finanche dell’Informale e dell’arte cosiddetta “povera”. In conclusione, in “La perdita del centro” Hans Sedlmayr affronta lo sradicamento dell’arte classica da parte delle Avanguardie imputando alla perdita del rapporto con Dio l’origine del turbamento per cui si perde il centro, definito nel Dio incarnato, e ciò porta inesorabilmente al baratro della civiltà moderna. Tutta la teoria dell’Austriaco si fonda dunque su un assunto teologico, con cui viene chiarificata la natura della malattia che pervade l’Occidente dal XVIII secolo in avanti che, in relazione anche al pensiero di Spengler, viene isolata attraverso l’indagine critica della presenza di “un’unità di misura umana” nell’opera d’arte.
La perdita del centro di Hans Sedlmayr è un testo complesso e articolato di filosofia estetica dell’arte, un importante caposaldo per lo studio storiografico dell’evoluzione artistica, a nostro avviso condivisibile se analizzato nell’ambito d’azione in cui lavorava lo storico scomparso nel 1985, se compreso in una rosa di testi di pensatori coevi (Johan Huizinga, Enrico Castelli, Sergej Bulgakov…), di fatto poco attualizzabile nella sua interpretazione più ortodossa e in alcuni punti superato da teorie successive. Tuttavia la teoria sedlmayeriana è funzionale e necessaria per la ricostruzione dell’approccio critico all’arte durante il secolo scorso; un libro, quindi, consigliato per chiunque abbia interesse ad approfondire il pensiero critico estetico di metà Novecento.
Titolo: "La perdita del centro" Autore: Hans Sedlmayr
Editore:BORIA - Collana VARIA 2011
Prezzo: 36 euro
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