Firenze: prima tappa del viaggio in Italia di T. Géricault
“Il viaggio è un regalo degli dei a chi, frutto di un desiderio inspiegabile, al richiamo delle sirene non ha resistito” (Angel Auezketa): affermazione suggestiva e romantica che ben si addice ai viaggiatori ottocenteschi in Italia, ammaliati dall’arte e dalla magia dei luoghi mediterranei. Tra questi è da annoverare il pittore francese Théodore Géricault, che giunse nel Bel Paese a soli 25 anni, dopo aver già acquistato una discreta fama di pittore a Parigi. Vissuto tra i furori dell’epoca rivoluzionaria e i fasti napoleonici, Géricault aveva dedicato alle figure di gendarmi, soldati e cavalli gran parte della sua produzione artistica prima di giungere in Italia, dove fu letteralmente conquistato dalle opere dei geni del Rinascimento italiano: Giorgione, Tiziano, Michelangelo,
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Roma: la Colonna Aureliana (part.)
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Raffaello. Partito nell'autunno del 1816 da Parigi alla volta di Roma, in occasione del prestigioso Prix de Rome, istituito presso Villa Medici, l'Artista fece una prima tappa a Firenze in cui trascorse una vita piacevole tra divertimenti e visite alle bellezze architettoniche del capoluogo toscano, come alla Galleria degli Uffizi, dove si fermava intere giornate a copiare e riprodurre le opere dei pittori italiani. Soprattutto il genio artistico di Michelangelo Buonarroti affascinava Géricault, il quale, una volta raggiunta Roma, poté ammirare la sublime potenza degli affreschi della Cappella Sistina, da lui riprodotti in una serie di disegni e studi che avrebbero dovuto costituire un “album romano”, frutto delle sue frequenti visite ai Musei Vaticani. Benché egli alloggiasse a Villa Medici, sul panoramico Pincio, assieme ad illustri convittori, come il pittore Dominique Ingres, la sua natura un po' schiva lo conduceva verso una vita appartata, più interessata all'osservazione degli umili e delle loro semplici consuetudini: contadini, bovari, famiglie di girovaghi sono infatti dipinti dall'artista |
con acutezza e con umana simpatia. Ma ad attrarre particolarmente l'Artista furono le feste popolari ed il carnevale romano, cui partecipò personalmente, assistendo alla folle corsa dei cavalli “barberi” che concludeva i festeggiamenti. Un cronista d'eccezione, Alessandro Dumas padre, così descrive il rito sfrenato dei cavalli in via del Corso, tutta addobbata con tappeti, fiori e coriandoli che scendevano dai balconi a ricoprire la folla urlante. “I pedoni si addossano al muro dei palazzi, poi si ode lo scalpitio di molti cavalli ed un rumore di sciabole sguainate. Una compagnia di gendarmi percorre al galoppo ed in tutta la sua lunghezza il Corso, per far posto ai barberi.
Roma: il Circo Massimo e il Palatino
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Quando la compagnia arriva davanti a Palazzo Venezia, la detonazione di un'altra batteria di mortaretti annuncia che la strada è libera. Quasi subito, in mezzo ad un clamore immenso, generale, inaudito, si vedono passare come ombre sette od otto cavalli eccitati dalle grida di 300.000 mila spettatori e dalle castagne di ferro….” Di questa frenetica galoppata di cavalli sciolti, privi di cavaliere, Géricault effettuò molti disegni e dipinti, dalla partenza dei cavalli da piazza del Popolo, portati da palafrenieri in costume, fino alla cattura finale, quando giungevano in Piazza Venezia, dove altri esperti stallieri li agguantavano con astuzia rinchiudendoli in un recinto.
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Palazzo Venezia e Piazza Venezia
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la Fontana di Trevi
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Roma: Via del Corso, dove nell'800 si svolgeva la corsa dei cavalli barberi, durante il Carnevale
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Villa Medici, sede dell'Accademia di Francia e del Prix de Rome
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L'esperienza nella resa dei cavalli, fiero animale da lui sempre amato, permise all'Artista di creare opere dinamiche, in cui i momenti salienti della corsa sono puntualmente descritti, ora parafrasando immagini desunte da Raffaello, ora liberando originalmente la sua foga pittorica. Nel giugno del 1817 l'Artista si trasferisce a Napoli e poi si reca a Paestum, in provincia di Salerno, mete obbligate del Gran Tour, ma anche luoghi in cui trascorrere la calda estate mediterranea, tra passeggiate lungo il mare e visite ai grandiosi siti archeologici. Nell'antica Poseidonia, questo era il nome della ricca colonia greca fondata dai Sibariti nel VI secolo a.C., l'artista potè infatti estasiarsi dinanzi ai tre templi dorici, ancor oggi esemplari tra i più alti dell'architettura greca in Italia. |
Paestum: la cosiddetta Basilica, dedicato ad Hera
Eretti in una vasta area a ridosso del mare, lungo la Via Sacra, il tempio di Nettuno (più probabilmente consacrato ad Hera o a Zeus), con 6 colonne doriche sulla fronte e 14 sui lati lunghi, è l'edificio meglio conservato, capolavoro d'età classica per l'armonica proporzione delle forme; accanto ad esso il monumento più antico, la cosiddetta Basilica, dedicata alla dea Hera, venerata dagli Achei fondatori di Sibari, grandioso tempio con nove imponenti colonne sulle facciate. Infine, più isolato su di un'altura s'innalza l'agile tempio di Cerere, probabilmente dedicato ad Atena, anch'esso del VI secolo a.C. Questi spettacolari monumenti, spogliati dai Normanni per costruire le loro chiese e fino alla metà del XVIII secolo rimasti sepolti dalle paludi, erano stati
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Paestum: il tempio di Nettuno (consacrato ad Hera o a Zeus)
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riportati alla luce e nei primi anni dell'800 erano già noti in Europa grazie alle stampe e alle incisioni di viaggiator e mercanti d'arte. Paestum, luogo magico in cui la salda compattezza dei templi dorici è addolcita dal materiale dorato delle pietre campane, fu l'ultima meta del viaggio di Géricault in Italia. All'arrivo dell'autunno, infatti, egli ripartì per Parigi, portando con sé un anno d'intense esperienze: spiagge e mare, paesaggi e ruderi della campagna romana, pervasi di melanconia e trasfigurati dalla sua fervida immaginazione pittorica. La lezione di Michelangelo e di Caravaggio, la forza plastica del primo e il drammatico luminismo del secondo saranno sempre vivi nella sua ispirazione artistica tanto da connotare lo stile della più importante e contestata tela parigina dell'Artista: La Zattera della Medusa, che oggi campeggia al Louvre, nel salone dedicato ai Grandi della pittura francese.
Dandy elegante e malinconico, moschettiere del re, deluso dai drammi della guerra, mai pago di viaggiare, egli amò soprattutto la pittura cui dedicò la breve vita, durata soltanto 33 anni!
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Bruna Condoleo, storica dell'arte e giornalista, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
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