La lista delle opere d’arte giudicate nel corso del tempo scandalose od oscene non è molto lunga, anche se è significativo che fra i generi messi all’indice siano stati i nudi quelli che hanno allertato maggiormente il potere e la censura nei secoli passati. Dopo la celebre ricopertuta da parte di Daniele da Volterra (da allora soprannominato a Roma il braghettone!) dei nudi del Giudizio Universale, dipinto da Michelangelo nella Cappella Sistina a metà del 500’, ridipintura ordinata da papa Paolo III in epoca controriformistica, una delle prime opere censurate è stata la famosa tela di Francisco Goya, la “Maja desnuda”, dipinta dal grande artista in età matura, in un periodo in cui erano meno turbolente le angosce per la guerra e la malattia nervosa che gli aveva procurato fin dal 1792 una sordità, peggioratasi con il tempo.
In occasione dei 200 anni dall'istituzione del Museo Nazionale Prado di Madrid, ho scelto di trattare il caso emblematico della Maja Desnuda, seguita a pochi anni dall'esecuzione della "Maja Vestida" (opera analoga ma priva dell'erotismo presente nella Desnuda!), tela iniziata da Goya alla fine del '700 e probabilmente terminata nel 1800 per essere acquisita nella collezione d'arte del potente Manuel Godoy, estimatore del pittore spagnolo.
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Francisco Goya. Maja desnuda, olio su tela, cm. 190 x 97, 1797/1800. Museo National Prado, Madrid
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L'opera rappresenta una donna distesa su un divano riccamente adorno di velluti, lenzuola e cuscini orlati di pizzi, che si offre agli occhi dei fruitori con naturalezza in una posa molto seduttiva, accentuata dallo sguardo fermo e malizioso. Il viso, incorniciato da una riccia chioma nera e accentuato dalla posizione delle braccia, assieme alle attraenti fattezze corporee svela immediatamente che non si tratta di una dea, come molti altri artisti prima di Goya (Giorgione, Tintoretto, Rubens...) avevano rappresentato Venere, ma di una donna reale!
Le proporzioni del suo corpo, infatti, si discostano dai canoni dei nudi cinquecenteschi più famosi, ad esempio da quelli di Tiziano; le gote rosee, in contrasto con il candore della pelle del corpo, rivelano i segni di un eccitamento e nessuna idealizzazione esiste in questa immagine così sensuale e veritiera, tanto che si è ritenuto potesse trattarsi di una nota gentildonna del tempo, amica del Pittore, ovvero la Duchessa d'Alba, oppure, più probabilmente Pepita Tudò, amante del commitente della tela Mamuel Godoy. Se dovessimo ricercare un'opera che può aver ispirato il nudo di Goya dovremmo pensare alla "Venere allo specchio" (1648), unico nudo dipinto da Diego Velazquez, opera posseduta a quel tempo proprio dalla Duchessa d'Alba.
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Diego Velazquez, Venere allo specchio o Venere Rokeby, m. 1,22 x 1,77. 1648, National Gallery, Londra
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Edouard Manet, Olympia, 1863, olio su tela, 1,30 x 1,90 m. Musée d'Orsay, Paris |
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La sensualità del nudo di Velazquez è palese nelle curve sinuose del corpo, tuttavia la Venere, rappresentata di schiena mentre guarda il proprio volto riflesso nello specchio, preserva alla vista le parti intime e soprattutto la presenza di Cupido fa rientrare il soggetto nell'iconografia tradizionale. E' vero che Velazquez dipinge una Venere insolita dai capelli scuri e non biondi secondo consuetudine, ma l'ispirazione della tela nasce dalle Veneri di Tiziano che l'artista ebbe l'occasione di vedere nel suo viaggio in Italia (1). La Maja di Goya, invece, non è né appare come una dea, tanto che un secolo e mezzo più tardi il grande pittore realista Edouard Manet trarrà spunto proprio dalla tela di Goya per la sua "Olympia", dove è ritratta una giovane cortigiana che, distesa su un letto, attende annoiata un cliente!
Ma torniamo alla Maja; a nessun contesto mitologico né tantomeno allegorico rimanda dunque questo erotico nudo, dipinto con accuratezza cromatica e con raffinatezza di sfumature; nessun gesto pudico atto a celare le parti intime del corpo, come avveniva nella statuaria antica e nei nudi del Rinascimento italiano. E' questa un'immagine reale quanto sfrontata: il corpo della Maja è fonte di luce che quasi abbaglia e rischiara lo spazio attorno a lei, volutamente vuoto per non distogliere l'attenzione di chi guarda dal provocante atteggiamento della donna. Un'analoga carica erotica si può riscontrare in un capolavoro di Tiziano Vecellio, la "Danae"(1544) conservata nel Museo di Capodimonte a Napoli, commissionata dalla potente famiglia Farnese, in cui l'avvenente figura nuda rivela una posa languida e un'espressione soddisfatta per la presenza di Giove che, come pioggia d'oro, le ricade fra le gambe per fecondarla.
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Tiziano Vecellio, Danae, olio su tela, 1 m. x 1,72. 1545, Museo di Capodimonte. Napoli
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Francisco Goya, Maja vestida, olio su tela, cm 97 x 1,9 m. 1803/05. Museo National Prado, Madrid |
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Ma anche in questa ultima tela la figura ritratta rientra nella tipologia dei soggetti mitologici e nella Roma papale del '500, appassionata delle Metamorfosi ovidiane, non si levò alcuna censura per la Danae che s'inserisce nella tradizione pittorica degli amori di Zeus, anche se l' Autore stesso, rendendosi conto della licenziosità del soggetto, così scriveva a Monsignor della Casa commentando la propria tela: "una nuda che faria venire il diavolo addosso al cardinale…"!
Nella Spagna di fine '700, invece, molto cattolica e anche bigotta, non era concesso agli artisti dipingere nudi realistici, ritenuti osceni e, malgrado l'opera appartenesse a una collezione privata, Ferdinando VII re di Spagna nel 1807 la fece sequestrare e per qualche anno essa sparì dalla circolazione. Nel 1813 il Tribunale dell'Inquisizione considerò il dipinto moralmente licenzioso e Goya riuscì ad evitare la condanna e l'arresto soltanto grazie all'intercessione del cardinale Maria di Borbone-Spagna. Quasi un secolo dopo l'opera sarà esposta a Madrid nel Museo del Prado, dove ancora oggi è uno dei pochi nudi della strepitosa collezione d'arte spagnola che quest'anno compie 200 anni di vita!
(1) Una curiosità: nel 1914 la Venere di Velazquez, al tempo esposta alla National Gallery di Londra, fu vandalizzata da una suffragetta a colpi di coltello a motivo della sua spudoratezza! L' opera fu in seguito restaurata
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Bruna Condoleo, storica dell'arte, giornalista, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
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