Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale - Anno I - Mar./apr. 2006, n. 2
AUTORITRATTI 

L'ARTISTA ALLO SPECCHIO


Pedro Cano: Le città invisibili
di B.C.




Bruna Condoleo: Benchè tu viva in Italia da 30 anni ed abbia assimilato la nostra cultura figurativa, la struggente malinconia che sprigiona dalle tue tele fa continuamente pensare alla grande tradizione della terra di Spagna, base della tua formazione umana e pittorica. C'è un artista spagnolo che senti particolarmente vicino alla tua sensibilità?

Pedro Cano: Io penso che soprattutto le circostanze, come diceva Ortega, fanno l'essere umano, con tutto quello che ha vissuto: ciò è basilare anche per me, che sono nato nel sud della Spagna, in una zona estremamente meticcia, come la Murcia, dove sono accaduti fatti di cultura cristiana, ebraica ed araba. Malgrado tutto, sono stato molto influenzato non tanto dallo spirito culturale del luogo, quanto dalla fisicità della zona brulla del Sud, così vicina all'Africa, come mostrano gli orti, le palme e la vegetazione. Tutto ciò mi ha segnato più che ogni altra cosa, più di un artista. Il luogo dove sono nato, Blanca, cui ho dedicato nel 2003 una mostra di acquerelli, è stato per me fondamentale.

D: L'effetto finale dei tuoi lavori è che essi non nascano di getto, bensì da un'elaborazione lunga e complessa. E' così?

R: La “sedimentazione” dell'immagine, il desiderio di leggere il quadro come fosse un palinsesto è per me indispensabile. Io comincio i dipinti come fossero romanzi: c'è una voce corale che somma una voce all'altra e dà alla fine il risultato di totalità. Guardare un quadro è come leggere un libro o vedere un'opera teatrale. Comincio lavorando su tutto il materiale: pian piano accadono delle “storie” che si vanno sommando ed a me piace molto che i quadri abbiano del tempo per divenire se stessi e cominciare ad avere una propria vita. Infatti, anche partendo da immagini molto figurative, queste poi acquisiscono una metamorfosi lenta. E' importante che si leggano questi diversi passaggi e si intuisca l'intensità con cui sono vissuti. Credo poco all'ispirazione fulminea: l'intuizione, che pur esiste, ha sempre bisogno di tante ore di traspirazione e dunque va approfondita.

D: L'acquerello, tecnica da te prediletta, ben si confà al gesto veloce della . pennellata. La rapidità è necessaria per non disperdere l'immediatezza dell'emozione?

R: Il primo momento dell'acquerello è molto difficile, perché oltre alla paura del grande foglio bianco, c'è un approccio che va pensato molto. La pittura ad acquerello è, secondo me, come tirare con l'arco: bisogna molto pensare dove colpire, poi tendere bene ed infine lasciare in un momento preciso, di massima tensione. La carta, che è il bersaglio, impone degli obblighi: ad esempio, se è molto grande, io comincio a toccarla per capire dove appariranno le parti chiare e le scure; pian piano con acqua leggera, senza disegno, con colori altrettanto leggeri, comincio ad entrare nel quadro: nell'attimo in cui sono sicuro che lì dovrà apparire una zona d'ombra, lì posso raccontare con gestualità primaria la mia emozione! Dunque rapidità e lentezza insieme: 50% di mente e 50% di cuore.

D: Le esperienze di viaggi in paesi lontani, come i diversi interessi filosofici, fanno ritenere che nella tua arte coesistano le tradizioni dell'Occidente e dell'Oriente, una sorta di magia che affiora nei misteriosi "segni" stratificati sui tuoi dipinti. Quale di queste culture ha un peso maggiore nel tuo mondo figurativo?

R: Io ho fatto l'Accademia di Belle Arti a Madrid e perciò la cultura di base che ho ricevuto è stata di tipo occidentale; del resto solo molto tardi la conoscenza dell'arte orientale è entrata nella nostra cultura: fino a qualche decennio fa, infatti, anche nei libri di testo le arti orientali erano ancora emarginate. Tuttavia mi fa piacere che tu ricordi che sono nato in un crocevia, dove si sono intrecciate diverse culture che geneticamente uno si porta dentro, magari senza saperlo. Io provengo da una famiglia povera, di gente che ha fatto vari mestieri: ma ricordo di aver avuto una nonna dotata di grande gusto, che perciò veniva chiamata nei matrimoni ad “addobbare” di begli oggetti gli armadi delle spose. Forse ho un poco ripreso da lei! Ad ogni modo ho avuto pochissima conoscenza delle cose che non sono state a me vicine.

D: Pedro, puoi raccontarci la tua tecnica?

R: Ricordo che durante gli anni '70 si è parlato a riguardo del mio lavoro dell'”immaterialità della materia” e della poetica del vuoto. Tornando alla pennellata, l'impressione che sia leggera non risponde alla realtà della mia tecnica, se non nel risultato: io uso tele che preparo da me, canapa o grossi lini, lavorando con grandi spatole e pennellesse ed adoperando cospicua quantità di colore. Con molto lavoro si giunge all'immagine di un mondo, dove la materia diventa immateriale ed a volte accade l'inverso, per esempio, che l'acquerello sembra abbia corpo e materia che invece non ha. Tutto il mio lavoro è frutto d'intuito progressivo: i risultati che ottengo sono una sorpresa anche per me e poichè quando dipingo mi trovo quasi in un'altra dimensione, non so ritrovare i passaggi, la dinamica che ho percorso per raggiungere “quei” risultati. Non potrei, infatti, razionalizzare il mio percorso pittorico, anche se lo volessi.

D: Maurizio Calvesi ha evidenziato nella tua pittura l'eredità storica del Vedutismo, per il gusto di ritrarre ponti, torri, tetti e città che ami ( come Roma e New York); tuttavia, io penso che la tua ispirazione sia frutto di una sensibilità che tenda a concretizzare l'invisibile…

R: Nel mio quadro accade sempre una metamorfosi, che parte dalla realtà e dal disegno delle cose che divengono poi “diverse”, perché c'è una rarefazione dell'immagine che costituisce, credo, una specie di personale calligrafia. Riguardo alla vicinanza della mia pittura con quella preromantica, io ho vissuto 60 anni e sono stato figlio di tutte le cose accadute in questo secolo così importante e rivoluzionario dal punto di vista visivo. La “pelle” delle mie mura, torri o case ha ricevuto, per fortuna, l'arricchimento di una pittura non figurativa ed è stato per me un privilegio poter usufruire di questa singolare conquista dell'arte contemporanea. Nei dipinti dei vedutisti veneziani vi è ancora una certa rigidità, mentre in Turner, ad esempio, tutto diventa immateriale grazie alla cura della superficie del quadro. Ogni artista ha apportato qualcosa di nuovo ed unico alle esperienze del passato; tuttavia devo ammettere che la ricchezza della “pelle” del dipinto, quella cura speciale della superficie, è già presente nella pittura romana!

D: Parliamo della mostra di acquerelli, dedicata a “Le città invisibili” di Italo Calvino, che dal 2005 ha girovagato dalla Murcia (Spagna), a Roma, a Palermo, a Palma de Maiorca, a Firenze e nel mese di febbraio 2006 è giunta all'Arsenale di Venezia. A mio avviso, la tua pittura si coniuga perfettamente con l'inventiva surreale del libro di Calvino.

R: Anche se spesso sono stato invitato ad illustrare degli scritti, ho sempre rifiutato, invece mi sono avventurato in questo singolare lavoro perché ho capito che per tradurre il camminare in tanti luoghi, che non esistono se non nell'immaginario dello scrittore, l'unica maniera era partire dai luoghi da me visitati. Mi sono dunque appoggiato alle mie immagini, alle mie impressioni, per viaggiare parallelamente al lavoro di Calvino, anche perché i luoghi descritti dall'autore raramente appartengono ad una geografia esistente, pur contenendo in fondo qualcosa di vero. Nelle città di Calvino non ci sono infatti descrizioni tradizionali e dunque io mi sono sentito libero di rievocare spunti e suggestioni, intrecciati con il mio vissuto. Ho evitato di fare un racconto paesaggistico, agevolato dal fatto che la maggior parte delle città vengono raccontate attraverso metafore. In realtà ho adeguato il mio modo “essenziale” alla scrittura immateriale del narratore.

D: Dopo aver spaziato entro tante tematiche, dalla figura ai paesaggi, alle nature morte, c'è qualche altro tema figurativo che pensi ancora di affrontare?

R: Non tutti i giorni sono uguali, il caso e la sorpresa sono eventi che ci fanno desiderare di vivere: tenterò di fare sempre qualcosa di nuovo e di diverso, con l'illusione che sia il quadro più importante della mia vita! In questo momento sto lavorando contemporaneamente a due progetti: un ciclo di dipinti ispirati ad un viaggio nel Mediterraneo, che da Alessandria d'Egitto giunga a Cartagena, passando per la Grecia, la Dalmazia, l'Italia…, attraverso luoghi e cose particolarmente significanti. Il secondo, anch'esso da ultimare, è un'indagine sul mondo degli “altri”, attraverso grandi figure ritratte di schiena, personaggi anonimi che esprimano questo esodo infinito che è la vita e che si perpetua in continuazione…

D: Il gusto di intervenire sul dipinto con maglie fitte di segni fa sì che i tuoi quadri acquistino la magia di preziosi reperti archeologici. Quale valore dare a questi graffiti? Simboli magici, indicazioni misteriose o forse il sentimento struggente del perire e il desiderio di far sopravvivere nell'immagine pittorica ciò che inevitabilmente si perde?

R: Il pittore è sempre considerato un personaggio straordinario che ha il grande potere di creare, archiviare e registrare le cose del mondo, non solo del mondo visivo, ma di quello interiore: questa è una cosa che dà enorme soddisfazione, sapendo, invece, che tutto finisce. Tuttavia il desiderio di rendere perenne ciò che si dipinge non è un processo “cosciente”: io, ad esempio, guardo le cose, anche le più consuete, con immenso amore, che è il mio modo di poter dare loro vita, di renderle immortali, di non farle scomparire. E' un piacere personale dipingere qualcosa che domani non ci sarà più, mentre sulla tela quel fiore o quell'immagine dipinta non svanisce, come nella realtà, ma rimane fresca e palpitante.



Pedro Cano è nato a Blanca, nella Murcia spagnola, nell'agosto del '44. Finiti gli studi accademici, grazie ad una borsa di studio si trasferisce nel '69 a Roma e da allora inizia a viaggiare, prima in America Latina, poi a New York, in Europa ed in Africa. Stabilitosi in Italia, dove ha esposto fin dal '75 presso gallerie prestigiose, a Milano, Bolzano, Bologna, Napoli, Firenze, Roma, ottiene fama e successo anche grazie a mostre personali effettuate ovunque: a Monaco, a Madrid, ad Amsterdam, a New York, a Dallas, a Toronto, a Los Angeles, a Buenos Aires. Nominato cittadino onorario di Anguillara, paesino sul lago di Bracciano (RM), dove vive e lavora parte dell'anno, Cano ha ricevuto ambiti riconoscimenti, come nel 2001 dal Re Juan Carlos di Spagna l'alta onorificenza di “La Encomienda de Numero de Isabel La Catolica”, destinata soltanto ad artisti famosi, che abbiano saputo tenere alto nel mondo il prestigio della cultura spagnola.
Il 24 settembre 2005 è stato investito "honoris causa" del dottorato in Storia dell'Arte dall'Università di Murcia.
 







P.Cano: Blanca, acquerello 2003



Pedro Cano: Blanca, 2003



Cano: Eufemia, Le città invisibili 2005





Cano: Fedora, Le città invisibili 2005





Cano: Sofronia, Le città invisibili 2005


Cano: Esmeraldina, Le città invisibili






Cano: Berenice, Le città invisibili 2005






Cano: Teodora, Le città invisibili 2005






Cano: Contenitore,
olio su tela, 2003






Pedro Cano durante l'intervista