B. C. Erede di un’antichissima famiglia di fabbriferrai, fin dai precocissimi inizi Lei ha mantenuto un rapporto particolare con la materia: ferro, alluminio, marmo, argento, bronzo vengono utilizzati con grande perizia, oltre che con evidenti effetti luministico-cromatici. Quanto la suggestione dei metalli nell’officina paterna ha contribuito alla nascita del suo stile?
Valeriano Trubbiani. Sin da ragazzino ho frequentato l’officina paterna di fabbro ferraio, ma senza rendermi conto della dovizia formale delle macchine agricole. Soltanto intorno ai 20 anni ho iniziato ad osservare gli aratri, le falciatrici, gli erpici, i rastrelli con un’attenzione ed una curiosità diverse. Schiuso il lungo sedimento, ho iniziato a manipolare gli stessi metalli piegandoli ad anomale esigenze creative, rovesciandone i significati e gli utilizzi. Da quel momento e sino ad ora, saranno i metalli (tutti: dalla ghisa al ferro, dall’acciaio inox all’acciaio corten, dal bronzo all’alluminio, dal rame all’argento sino all’oro) i protagonisti materici che utilizzo per dare immagine alle mie visioni ed anche se episodicamente sono esistite intrusioni diverse (il cuoio, il legno, la bachelite, ecc.), sarà sempre il metallo protagonista del mio lavoro. Il materiale utilizzato condiziona e suggerisce l’invenzione dell’immagine. Il metallo usato può suggestionare un’intera vita creativa, come il vomere dell’aratro abraso, levigato e consumato sino allo sfinimento di un gesto antico: sollevare e rovesciare la zolla di terra per gettare nel solco nuova seminagione.
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Valeriano Trubbiani nel suo studio a Candia (AN)
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D: Qual’è la proposta che suggerisce la sua ricerca artistica, ove tragico e ironico, demoniaco ed angelico coesistono?
R: Nel periodo delle “macchine belliche” (anni ‘60), anche se l’intenzione era quella di dare vita ad una sorta di meccanica aggressività congelata, avvenne (soltanto ora me ne accorgo) uno spiazzamento iconografico, poiché a mia insaputa l’immaginazione arpionava vaghe sembianze zoomorfe, protese nello spazio come le chimere, i traghetti, i grifi delle cattedrali gotiche. Forse erano i primi embrioni di quel vasto “bestiario” (dal ’70 in poi) sofferente, attonito, esterrefatto, che colluso, ciclo per ciclo, con ambientazioni differenti, accompagnerà vari decenni di lavoro fino a quello contingente. Se la tecnologia ha un utilizzo provvidenziale e rassicurante, a livello antropologico può rappresentare un necessario scatto progressivo. Al contrario sarà soltanto un oscuro ripiegamento involutivo e barbarico, certamente non neo-medioevale dove, malgrado le apparenti asperità, il punto culminante è rappresentato sempre dalla luce.
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Transiti adriatici, tecnica mista '99/00
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D: Dagli anni ’70 inizia la genesi del suo fantasmagorico mondo di volatili, rane, rospi, topi, buoi…, una selva zoomorfa carica di aggressività, ma anche di ironico stupore. Il dissidio tra natura e tecnologia, che è alla radice di ogni opera, cela ulteriori significati simbolici?
R: Nel contesto vagamente teatrale degli anni ‘70 il meccanismo reclama perentoriamente l’immagine di una presunta vittima “figurativa” che sarà quasi sempre l’animale (quello dei boschi o della campagna rurale), l’innocente protagonista della messinscena. Questi è come inseguito e catturato, braccato e bloccato da ipotetici meccanismi sacrificali che tuttavia mai giustiziano ed offendono. Forse si trattò di una vaga metafora della morte o meglio della paura di perdere la vita. Tuttavia preferirei meditare intorno ad una sorta di reportage sul dolore: quel dolore cosmico che nasce parallelamente con la vita e si estingue nel colore e nella luce solare dei campi Elisi.
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 Volo frenato, bronzo, acciaio inox, acciaio zincato, alluminio 1975
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D: La teatralità del suo linguaggio ha radici nell’estetica dei Surrealisti, dei Dadaisti, per alcuni aspetti anche nell’arte picassiana. Dopo l’iniziale meraviglia creata dalle forme e dagli accostamenti inediti di immagini, chi guarda le sue opere sente la necessità di un ulteriore approfondimento. Qual' è la sua principale preoccupazione, Maestro, nel momento della creatività?
R: Bene per la teatralità dell’impianto linguistico, tuttavia non m’interessano complicati percorsi criptici, ma veloci enigmi dalla rapida e rasserenante soluzione. La preoccupazione è sempre quella costruire, di organizzare una forma in cui all’estetica prevalga la componente etica, confortata dal disincanto e dall’ironia, come nell’attuale lavoro sui temi delle “spade” e degli “elmi, caschi e scafandri”. All’ostinata invenzione di immagini simboliche, metaforiche e vagamente enigmatiche, che ha caratterizzato la mia vita, devo tutto, compreso la stessa vita di persona. Quella creativa dovrebbe avere espresso un’enorme e preoccupante mole di solitario lavoro se è vero, come qualcuno asserisce forse scherzando, che avrei posto in essere il lavoro di tre artisti. Non mi sono accorto. Anzi ritengo che avrei dovuto fare di più. Quindi, evitando di voltarmi indietro, sarà bene mettersi al lavoro: finché avrò fiato.
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Transiti all'isola nera, tec. mista '02
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D: Potrebbe chiarire una sua poetica affermazione (in risposta ad un dialogo con Manuela Crescentini), che recita “La scultura è un sogno soffice raccontato con materiali duri”.
R: Desideravo dire che anche quando la scultura risulta urtante (dovendo affrontare anche tematiche non consolatorie) e nevrotica, anche per l’utilizzo di materiali coriacei, indistruttibili e appunto “duri”, essa vive adagiata sopra un soffice sogno, sopra una nuvola fluttuante e morbida: tipiche espressioni del mondo onirico e della visione.
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Mater amabilis, bronzo '95
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D: Lei ha spesso scolpito il mare, come testimonia una recente mostra a Jesi. Quali i motivi di questa scelta temeraria?
R: Ho sempre subito attrazioni verso le cose difficili e temerarie. Elemento primordiale della vita, il mare è anche il luogo dell’orizzonte infinito e dell’eterno movimento. La sua instabilità può essere convulsa e rabbiosa, ma anche immagine di calma e serena quiete. Niente è più terrificante di un mare in tempesta che urla, come una belva, così come niente è più dolce e languido del tenero andirivieni musicale della calma piatta che ipnotizza. Tutti possono viaggiare per mare, ma nessuno potrà mai camminare sull’acqua. Esclusa una Persona.
Il mare dorme sempre con un occhio solo e si avvita su se stesso, senza tregua. Non sa dove andare perché non può invecchiare e ogni tanto soffre di malinconia poiché in preda della nostalgia del tempo, talvolta avverte una punta di stanchezza per questa esistenza immemore che non finisce mai. Il mare di notte, oleoso e nero, è inquietante: ed io non ho mai imparato a nuotare!
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Paesaggio baciato dal mare, bronzo,rame. 1988/89
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D: Oltre ad essere scultore e grafico, Lei ha svolto una fortunata attività di scenografo, consacrata dalla partecipazione al film “E la nave va” di Federico Fellini nel 1982. La ricchezza barocca della sua fantasia, Maestro, mostra delle affinità con l’esuberante genio felliniano: ci parli di questa sua singolare esperienza!
R: Per onorare la verità, sarà bene precisare che quando Federico Fellini mi cercò per una collaborazione, avevo già iniziato il ciclo di opere intitolate “Pericolose crociere”, dove sulla cresta del blocco di un mare tagliato incrociano navi, squali, viaggi, ritorni, viandanti. Ma Fellini conosceva da prima il mio lavoro e memorizzò il mio nome quando (così interessato anche alle arti visive!) visitò la Biennale di Venezia del ‘72. “Potrà essermi utile”, forse meditò. E così provvidenzialmente è stato quando, dopo 8 anni mi chiamò per alcuni lavori necessari al film “E la nave va”, facendomi così dono di una tra le più esaltanti e straordinarie esperienze di lavoro della mia vita. Certamente Fellini, artista onnivoro, totalizzante, coinvolgente, contaminò episodicamente con la sua magnetica personalità la mia invenzione fantastica. Ma lui non poteva immaginare che io trassi profitto dalle sue invenzioni filmiche già alla fine degli anni ’60. Il grande regista scrisse per un volumetto riassuntivo della mia collaborazione un’intensa testimonianza di rara, acuta intelligenza e tagliente ironia.
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Migrazioni e approdi da Oriente, tecnica mista, 2000
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D: Chi scrive può dire che Lei rimanda l’immagine di un mago geniale, più affascinato da strane alchimie tra mondo animale e vegetale che non dall’uomo, spesso assente dalla sua ricerca artistica, anche se “deus ex machina“ di negatività! Non ha dunque fiducia nell’umanità e nella sua capacità di esprimere dei valori?
R: Perché nelle lunghe teorie figurali dei portali romanici e gotici, le cattedrali raramente offrivano immagini umane privilegiando, invece, inquietanti ed alchemiche processioni di animali? Nell’arco creativo del mio lavoro l’immagine umana episodicamente è comparsa. Anche attualmente è presente ma, come chi fa capolino da una finestra o guarda da uno scafandro. Tuttavia chi sarebbe il burattinaio-sceneggiatore regista delle “strane alchimie tra mondo animale, vegetale e materiale” se non l’uomo stesso?
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Insula felix, bronzo, rame. '86 (part.)
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Valeriano Trubbiani è nato a Macerata nel ’37, ma vive e lavora a Candia di Ancona. Pittore, scultore, incisore, uno fra gli artisti più prolifici dei nostri tempi, da oltre 40 anni partecipa con successo a mostre nazionali, internazionali ed a diverse edizioni di Biennali veneziane. La multiforme creatività del maestro, apprezzata in Europa, come in Brasile, in Canada, in Cina ed in Giappone, dove gli è stato perfino dedicato un museo, si è indirizzata anche verso il cinema, con collaborazioni prestigiose, fra le quali spicca quella con Federico Fellini, nel 1982, per la scenografia del film “E la nave va”. Critici autorevoli, come G. C. Argan, E. Crispolti, P. Restany, C. F. Carli, lo hanno definito il più visionario tra gli scultori contemporanei e nelle sue opere “…ciascuno può vederci riflessi i propri problemi, che sono poi quelli della nostra presenza nel mondo, del nostro rapporto con gli altri e del perché di tutte le cose” (P.Zampetti). Innumerevoli le mostre, ma cito tra le ultime quella a Brufa, in provincia di Perugia, dove è stato esposto un lavoro storico di Trubbiani, “Volo frenato”, dal ciclo dedicato a Giacomo Leopardi (opera acquistata dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna), che ha arricchito nel 2005 l’autentico museo all’aperto della cittadina umbra, mentre a Roma presso il Museo Boncompagni Ludovisi, è stata allestita, fino al 19 novembre 2006, la mostra "Fabula terribilis", con 50 sculture e 20 opere su carta, attorno alle quali è nato anche un progetto per le scuole elementari, con l'elaborazione di testi narrativi in forma di favole, ispirati al fantastico mondo del geniale artista.
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