L’arte contemporanea ci ha ormai abituato a considerare come
accettabili le espressioni più trasgressive e provocatorie;
tuttavia vi sono estetiche che ancora colpiscono per la loro natura
spaesante, come avviene nell’opera di Pietro Cimino, artista
a tutto tondo. Spaziando dall’architettura alla scultura,
dal design alla pittura alla scrittura, egli rivela uno spirito
eclettico che nella ricerca artistica trova inedite soluzioni tematiche
e formali. Grazie all’ inclinazione per la narrativa, il “linguaggio”
ha da sempre affascinato Cimino, soprattutto le parole e le lettere
che evidenziano una vita autonoma e sono capaci di esplicitare l’essenza
originale del suo immaginario. Attraverso un linguaggio allusivo
e fantasioso Cimino costruisce storie e le condensa al massimo nei
suoi polimaterici, che saranno esposti dal 15 marzo 2014 presso
la Galleria d’arte L’ Acquario, situata nel cuore antico
di Roma. Nell’attesa della mostra abbiamo intervistato Pietro
Cimino, in esclusiva per Ars et Furor, affinchè sia proprio
lui a introdurci negli aspetti più inediti della sua poetica
per comprendere appieno il senso delle personali scelte estetiche.
P.Cimino, Fall, 2013-14, polimaterico
|
Bruna Condoleo: Nel considerare le tue opere colpisce immediatamente
la rilevanza dell’uso di lettere, di ideogrammi, di parole.
Puoi chiarire da cosa nasca questa singolare predilezione iconografica?
Pietro Cimino: Perché a me piace raccontar storie.
E nel legame tra letteratura e pittura e scultura e collage è
la ricerca del mio linguaggio.
Lettere per formare parole, un alfabeto e non solo. Lettere singole
o accoppiate, a quattro, otto, a formar corpo; parole spezzate,
apparentemente informi eppur indizio di concetto. Ed è
già una quasi narrazione. Lettere che a volte smettono
di essere tali per divenire parole esse stesse, o frasi, o discorsi,
cantilene. Per comporre, comunicare, raccontare. Composte in monologhi,
dialoghi. Opinioni da bar mai del tutto compiute che inducono
al confronto, oppositivo o condiviso.
Lettere che si uniscono come cellule, atomi, mononucleidi. Note
musicanti.
Parole in cerca di qualcuno che le formuli. Buone per ogni idioma,
parole in autocomposizione, una sorta di esperanto, lingua arcaica
che non necessita di traduzione.
Ecco, il piacere di inventar lingue, così, per confessarsi.
Da utilizzare in esercizi di trazione per l’intelletto ovvero
per aprirti nella sfera emozionale; un flash di vissuto, percezioni
complesse da ridurre ad istantanee. A suggerire, più che
ad acclarare, proteste e voglie, ricordi, rabbia stizza o disappunto.
O cose, luoghi, noia, amore.
B.C.: L’assemblage materico con cui costruisci i lavori è
essenzialmente di natura dinamica, caleidoscopica, spesso con
effetto spaesante. Qual è il collant di un tale associazionismo
creativo?
P.C.: La specificità della materia in simbiosi con il tema trattato:
assemblare stoffe con pietre, lettere di legno, plastica, metallo,
creta, in sinfonica sequenza, e cosa fatta per inseguire un’
intuizione, un composto per un segmento di vita, più che
cercare di fare arte. E tradurle con solidi e colori, luminosità,
contrasti, comporre ritmi rubati alla melodia o al jazz.
Ma attenzione: le presenze non sono oggetti “pop”
di uso o riuso, nemmeno sono simboli o sinonimi, caricature del
vero. Sono esse forme analogiche, affini per sensibilità,
psicosomiglianza. Come la spirale che chiude, le linee di energia,
poi gli specchi per coinvolgere, eccitare.
|
P.Cimino, Erotic dream, 2013-14, polimaterico
|
B.C.: In che modo e con quale finalità si concretizza
la genesi del tuo percorso creativo?
P.C.: Intendiamoci: il fatto di alloggiare astrazioni apparenti,
concetti o altro, servendosi di parole o semplici ideogrammi (lemmi
in sintesi) non significa aver compiuto il percorso. Ogni colore,
ogni sequenza disposta in ritmo, ogni termine, hanno il loro preciso
“scopo“ nel concorrere a tessere la trama. Ed è
lo “scopo” la giustificazione per l’impiego del
legno o del metallo, così come la scelta dell’oboe
in luogo del flauto nel brano sinfonico; della stoffa molle e sgualcita
in luogo della rigida tavola, o la rigida tavola in luogo della
tela, del pezzo sospeso in rilievo, del foro che ferisce la tavola,
del collage.
B.C.: Dunque una costruzione pensata e dosata come fosse
una composizione musicale! I tuoi lavori, così ricchi di
rimandi psicologici, hanno bisogno di una singolare “lentezza”
percettiva, che permetta al fruitore di entrare gradualmente nello
spirito della tua arte. E’ questa la poetica che ti guida?
P.C.: Colui che guarda ha il suo ruolo, non è cosa
dell’arte passar oltre con un “ok” o “non
mi piace”. Le tavole richiedono un lasso temporale congruo
di osservazione (non si può scappare dopo la prima occhiata),
durante il quale l’osservatore percepirà in diacronica
sequenza: immediati sono i caratteri alfabetici, parole e cose,
captandone il rapporto tra loro, il colore e la composizione, il
rilievo, magari la gerarchica classificazione degli oggetti, la
modalità formale; ingredienti (indizi ) che vogliono indurre
a trasferire l’analisi della tavola da un piano razionale
ad un gradino surreale, psico-intuitivo, accedere alla sfera trascendente,
dove l’occhio, il gusto, la bellezza altro non sono che mezzi
per consentire l’accesso al sensismo. Quindi alla partecipazione.
|
P.Cimino, Ipnosis, 2013-14, polimaterico
|
Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
|
|