Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Work in progress - Anno XII - n.54 - Ottobre-dicembre 2017
RITRATTI e AUTORITRATTI 

MARINO MARINI. "Passioni visive"
di Bruna Condoleo



Marino Marini con alcune sue opere scultoree: Piccolo cavaliere del '49 e Pomona



Con il titolo Marino Marini. Passioni visive la Fondazione Marino Marini propone, del Maestro, la prima retrospettiva che ambisce a situarlo organicamente nella storia della scultura con l’esposizione di sue opere che spaziano dal 1922 alla conclusione della sua attività artistica.  La mostra, allestita in Palazzo Fabroni a cura di Barbara Cinelli e Flavio Fergonzi, si presenta come uno dei momenti di punta delle Celebrazioni di Pistoia- Capitale italiana della Cultura 2017; oltre alle opere di Marini sono esposte sculture dei maggiori artisti del '900, come Arturo Martini e Giacomo Manzù, con cui si instaura un confronto fecondo e rivelatore.
"Un canto desolato si è levato sul mondo”, recitano le parole, incise da Marino Marini sulla base della prima fusione dell’opera “Guerriero” del ‘59/60, quasi a riassumere l’essenza dell’esperienza figurativa di un artista che nella severa arcaicità del tema equestre, eletto a motivo centrale di ispirazione, ha saputo trasfondere l’intensità della propria storia interiore. Nell’arco della lunga carriera di grafico, pittore e scultore, tra le Pomone, i ritratti, i Guerrieri e i Miracoli, Marino Marini (Pistoia 1901/Viareggio 1980) ha continuativamente riproposto l’iconografia equestre, pur mutandone nel tempo aspetti semantici e modi di rappresentazione.
Sensibile alla vigoria espressiva dell’arte etrusca, studioso di scultura egizia e romana, appassionato di cultura romanica e affascinato dalla civiltà gotica europea, ma ugualmente interessato alle ricerche espressioniste e cubiste delle Avanguardie del ‘900, Marini ha elaborato un personalissimo stilema “arcaico”, cui non è estranea l’ispirazione all’arte cinese dell’epoca T’ang, alla scultura cicladica e alla plastica andina. Dalle suggestioni molteplici dell’Antico, l’Artista ha saputo estrapolare la sostanza vitale, innervata dalle più moderne tendenze figurative per farne scaturire una dimensione nuova, altamente espressiva della civiltà contemporanea.



Marino Marini: Cavallo, 1947




Marino Marini: Nudo




Dalle prime opere degli anni ’30, in cui la figura del cavallo e del cavaliere è primordiale e scabra, priva di qualsiasi deviazione nel fantastico e spoglia di ogni retorica esaltazione, alle opere tragiche della piena maturità, lo scultore pistoiese affronta un tema che fin dall’antichità aveva interpretato l’eroismo e la virtus dell’uomo sicuro di poter dominare la natura come la storia. I primi cavalieri creati dall’Artista, nudi e immobili su cavalli bloccati, sono immagini pacate e solenni: fino agli inizi degli anni ’40 Marini riconosce nel mito una fonte di valori positivi e assoluti cui ispirare la propria e l’altrui esistenza; i gruppi equestri, dalle forme ben modellate in organica continuità, con geometrici volumi e netti profili, rimandano a una realtà astorica e atemporale, eterni simboli dell’essere. Tuttavia dopo l’esperienza della guerra si assiste a un’astrazione sempre più consapevole del dato naturalistico: cavalli e cavalieri vanno assumendo drammatiche deformazioni, si torcono e si oppongono in moti contrapposti, mentre graffi profondi come piaghe, cesure e sfaldamenti della materia solcano le superfici scultoree. Le crepe del modellato, le contrarie tensioni dei corpi, i furiosi disarcionamenti dei cavalieri, bloccati nelle loro disperate cadute (come nei Miracoli, quasi moderne vie di Damasco!), mutano i solidi gruppi equestri in forme instabili, rivelatrici delle angosce individuali e dei drammi collettivi. L’uomo virtuoso e prode dell’età rinascimentale, capace di indirizzare il proprio destino come il suo cavallo, un tempo docile e arrendevole alla saggezza del cavaliere, con un significativo ribaltamento sono ora forme in doloroso contrasto, prive di equilibrio, in lotta affannosa, a simboleggiare la sconfitta di un’umanità che ha smarrito la via della tolleranza e della pacifica convivenza. Nei cavalli imbizzarriti e recalcitranti degli anni ’50, il fiero e mite destriero della tradizione classica si trasfigura nel sinistro interprete delle forze occulte della natura, un cavallo dell’apocalisse nel quale sembrano riassumersi i germi distruttivi del male.


Marino Marini: Nuotatore, 1933




Marino Marini: Ritratto di Fausto Melotti, 1937





La ricerca postbellica porta dunque Marino Marini a indagare, in forme più astratte, il tema equestre: in una sala della mostra pistoiese sono raccolti gli esiti maggiori di questo ciclo, opere contese dal collezionismo internazionale e determinanti nel consacrare la posizione di primo piano dell'artista nell'ambito della scultura contemporanea di figura. In una sala emozionante i suoi Cavalieri post 1945 sono messi a confronto con i loro antenati di riferimento, ovvero cavalli e cavalieri dalle civiltà del Mediterraneo e dell'antica Cina. Sempre nel periodo postbellico Marini si dedica con passione anche ai ritratti nei quali, per la resa espressiva del volto umano, inventa un nuovo linguaggio che guarda alla scomposizione cubista e, insieme, alla deformazione espressionista e farà di lui uno dei più validi ritrattisti-scultori del '900. Anche la sala dedicata ai ritratti propone suggestivi confronti con teste di civiltà antiche e di scultori contemporanei: tra i tanti ritratti famosi, come quello di Mies van der Roh, di Jean Arp o di Carlo Carrà, molto interessante risulta in mostra il ritratto dello scultore Fausto Melotti (vedi foto) in cui Marini sembra evocare nell'assoluta fermezza plastica del busto di sapore quattrocentesco lo stile metafisico e l'astrazione formale che contraddistinguono il linguaggio dell'amico.
Con i muti cavalieri degli anni '60, la cui torbida pesantezza dei corpi grava come inutile fardello su cavalli-taurini o cavalli-tapiro, le braccia aperte come in croce e i visi rivolti al cielo, Marini traduce con tragica espressività il monito allarmante di una vita svuotata di certezze, dove uomo e natura sono distanti, incapaci di ristabilire l'antico naturale legame. "Nelle mie figure equestri- ha spiegato l'artista- io non ho cercato di festeggiare il trionfo di un eroe, ma piuttosto di esprimere qualcosa di tragico, in effetti una specie di crepuscolo dell'umanità…" (E. Roditi: Dialogues in art, Marino Marini- 1960). Nelle ultime realizzazioni scultoree, infatti, intitolati Il grido, l'ulteriore disfacimento dell'iconografia cavallo-cavaliere non connota più nulla di umanamente riconoscibile. Il gruppo è smembrato barbaramente in rigidi volumi, la scelta di un'estrema essenzialità dell'immagine, decomposta in forme quasi astratte, definisce crudamente il dramma della coscienza individuale e della storia. Accanto al fossile indistinto di cavallo, da cui a stento trapela l'originaria forma anatomica, il "Grido" del cavaliere, anch'esso atterrato, si eleva alto, assieme al suo braccio teso verso una trascendente salvezza.


Arturo Martini: Tobiolo, 1933




Organizzata dalla Fondazione Marino Marini, Pistoia e dalla Fondazione Solomon R. Guggenheim, Venezia, dopo Pistoia la mostra "MARINO MARINI: Passioni visive" si trasferirà presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia e sarà visibile dal 27 gennaio al 1 maggio 2018.


Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte




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