Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Work in progress - Anno XVIII - n.75- Aprile - giugno 2023
RITRATTI E AUTORITRATTI 


Omaggio a NINO GIAMMARCO!

di Bruna Condoleo


L’ articolo dedicato a Nino Giammarco, pittore e scultore, vuole essere un omaggio a un grande artista, morto a Roma il 2 marzo 2023, di cui mi pregio essere stata curatrice di straordinarie esposizioni romane in location prestigiose, come Castel Sant’Angelo, nonchè collega e amica sincera.
Riporto di seguito un’ intervista da me raccolta nel settembre del 2004 in occasione di una mostra a Roma presso la Gallerie "le Opere", intitolata NINO GIAMMARCO. F117- memoria infinita, intervista che mette in risalto non soltanto la sua dedizione al mestiere, ma evidenzia l’attualità drammatica del suo pensiero e dei contenuti espressi, inerenti agli allarmanti eventi contemporanei, quali la guerra, l’insensatezza umana, la perdita dei valori spirituali.






Foto Claudio Abate 2004 ©


Bruna Condoleo. Quanto hanno inciso, ai fini di una maturazione del linguaggio figurativo, le esperienze della tua esistenza?

NINO GIAMMARCO
Io credo che le esperienze umane della mia vita abbiano avuto un ruolo molto importante nello sviluppo del mio lavoro, nella definizione del mio linguaggio. I luoghi dell’infanzia, i genitori, e poi a Roma l’incontro con artisti, coetanei e non e con gli amici impegnati in attività molto diverse dalla mia. Un posto particolare occupano gli anni della mia formazione giovanile all’Istituto d’Arte di Sulmona, dove sono nato e l’insegnamento del prof. Nino La Civita. Credo che in quegli anni si siano stratificati in me tutti quegli elementi di linguaggio che ancora oggi caratterizzano il mio lavoro. Soprattutto in quegli anni ho maturato il mio atteggiamento nei confronti dell’arte.





F117, olio su tela cm 160x130, 2004



B.C.
Da un episodio significativo della tua giovinezza, risalente agli esordi della vocazione artistica, ho immaginato che gran parte del tuo mondo figurativo  fosse, in nuce, già presente fin d’allora. Vorresti rammentare questo evento particolare?

N.G.
Sì, è molto curioso. Io stesso ne sono, in un primo momento, rimasto sorpreso. Mettendo a posto alcune vecchie foto ho trovato quella del saggio alla Maturità sostenuta nel 1963 all’Istituto d’Arte. Si tratta di un pannello di rame sbalzato di grandi dimensioni raffigurante una scena di guerrieri dopo la battaglia con un grande cavallo. Se lo datassi 2004 non se ne accorgerebbe nessuno. Hai ragione tu, molti elementi, anche formali, del mio immaginario artistico erano già presenti, o meglio hanno cominciato a strutturarsi nella mia giovinezza. Risale ad allora anche il desiderio di capire meglio questioni legate allo spirito. Un cammino che oggi cerco di percorrere con più consapevolezza e fede.





F117, Memoria infinita, olio su tela, cm 240x120, 2004


B.C.
Luminismo tragico e teatralità sono due aspetti caratterizzanti della tua pittura; risiede nel silenzio di Dio il messaggio dei tuoi dipinti, oppure in un nativo bisogno di religiosità?


N.G.
Vedi, questa discussione sul silenzio di DIO è tornata, anche recentemente, di attualità. In particolare dopo i tragici attentati terroristici alle Torri Gemelle di Manhattan, lo scempio della Stazione di Atocha a Madrid, la strage degli innocenti nella scuola di Beslan…e sempre, dopo avvenimenti di inaudita atrocità contro l’umanità tutta, ritorna l’angosciosa domanda: dove era Dio in quei momenti? Dio, schifato dagli uomini, si è chiuso nel silenzio e più non parla?
Qui il discorso da fare sarebbe lungo e impegnativo. Per risponderti  dirò che, no, il messaggio che intendo dare con la mia pittura non nasce dal silenzio di Dio. Nasce dalle azioni degli uomini, dalle azioni efferate degli esseri umanii e agli uomini e alle donne è indirizzato. In particolare a coloro che troppo spesso usano il nome di Dio per giustificare le loro azioni e salvaguardare i propri interessi. Io sono convinto che Dio non abbia mai smesso di parlare a noi, ma gli uomini hanno voglia di ascoltarlo? Le atrocità cui assistiamo giornalmente sono opera di uomini e donne che liberamente decidono di non ascoltare mettendo così in pericolo la libertà di tutti.






"...brucerà con il fuoco gli scudi..." salmo 45, tecnica mista su carta, cm 48x33, 2004


B.C.
“Il tema della morte, tanto caro all’arte spagnola cui sei profondamente legato, costituisce nella tua produzione artistica una costante. Cosa ti affascina di essa: il suo mistero, la sua potenza espressiva, la sua crudeltà?


N.G.
Tutti noi, ogni giorno, siamo posti di fronte alla morte. Attraverso la televisione, i giornali, internet, etc., ne percepiamo la crudeltà, proviamo orrore nel vedere quanto poco è tenuta in considerazione la vita umana e quanto grande sia la sopraffazione dell’uomo sull’uomo. Io amo molto l’arte spagnola, in particolare mi sento legato da un comune sentire a queste problematiche e ad artisti come Goya, García Lorca, Buñuel, Picasso.
Io dipingo spesso, specialmente negli ultimi anni, situazioni dove è presente il tema della morte. Quanti, nell’illusione di andare verso “l’Eldorado”, approdano come cadaveri sulle spiagge del nostro Paese? Ebbene, io dipingo i loro corpi senza vita con l’intenzione di dar loro la dignità e il rispetto che non hanno avuto in vita. Nei miei quadri questi corpi si trasformano, riprendono vita e volano verso l’alto. Questo per dare e per darmi io stesso una speranza per il futuro.
Del tema della morte mi affascina, inoltre, il suo mistero. Qui ritorna il discorso del mio cammino spirituale. Se guardiamo la morte solo dal punto di vista della nostra “finitezza” in quanto essere umani, limitati, essa ci appare in tutta la sua crudeltà, la percepiamo come un momento di definitiva separazione, di rottura: la morte fa paura! Io, quando penso alla morte, rifletto (o almeno mi sforzo di farlo) sul mistero della Croce di Cristo; allora la morte stessa e la vittoria di Cristo su di essa diventa parte della rivelazione stessa di Dio, la porta attraverso la quale si passa per riunirsi al Creatore. Questo è il messaggio che vorrei si leggesse nelle mie opere.






"... ma l'uomo nella prosperità non comprende..." Salmo 18, tecnica mista su carta, cm 48x33, 2004

B.C.
Raffaello e Guido Reni, la grande tradizione spagnola, echi del Surrealismo e della Metafisica, contenuti biblici e immagini dalla Pop art. Sembra che la tua arte nasca da un singolare manierismo, ritieni sia così?


N.G.
Io non parlerei tanto di manierismo, quanto di un "filo rosso" che attraversa l'arte e stabilisce un singolare rapporto di complicità tra gli artisti. Vedi, è come se io avessi ricevuto un lascito, un' eredità dagli artisti del passato e, di volta in volta, ne uso un po', facendo attenzione a non dilapidarla tutta, anzi, mi sforzo di farla aumentare aggiungendovi del mio e lasciarla, a mia volta, in eredità. Amo molto Picasso, questo è innegabile, ma da Picasso la lezione più importante che ho appreso non è tanto sul piano formale ma, invece, sul piano intellettuale, vale a dire il modo di porsi nei confronti dell'Arte. A mio avviso Picasso ha "liberato" gli artisti dalla schiavitù dello stile, dalla cosiddetta "coerenza stilistica" che ha significato l'inaridimento della creatività per molti artisti. Sono convinto che l'arte sia una formidabile arma nelle mani degli artisti. L'immagine artistica, a mio avviso, è più potente, più incisiva e duratura, resta più a lungo negli occhi e nelle coscienze, rispetto all'immagine televisiva o filmica. Io cerco di rendere la realtà come se questa si riflettesse in uno specchio e rimbalzasse deformata e spezzettata in forme enigmatiche che sta poi a chi guarda ricomporre secondo il proprio mondo interiore. L'essenza dell'opera d'arte è per me una tela bianca, un bastoncino con dei peli in punta, tubetti di paste colorate. Sono "materiali" umili che di per sé significano poco. Fonderli insieme, amalgamarli, creare un'immagine capace di provocare emozioni, turbamenti è un mistero che ancora mi affascina. L'essenza dell'arte è creare immagini che facciano lavorare le coscienze e servano da modello alla realtà.






La strage dergli innocenti, tecnica mista su carta, cm 48x33, 2004


B.C.
Nel tuo dipinto intitolato “F 117” ti sei ispirato all’opera “F 111” del pittore statunitense James Rosenquist, uno dei padri della Pop art, in particolare per l’immagine dell’aereo incombente e minaccioso come un crudele rapace in picchiata. Puoi parlarci del motivo di questa scelta?


N.G.
Sì, ma non solo all’F111 di Rosenquist. Il mio quadro si intitola “F117” che è il caccia più impiegato negli ultimi anni nei vari teatri di guerra nel mondo. La sagoma stilizzata di questo aereo è il filo conduttore di tutte le opere presentate in questa esposizione. In realtà mentre lo dipingevo era più Guernica di Picasso che mi circolava nella testa. Nella costruzione delle immagini, però, sono riandato alle “fonti” che erano servite allo stesso Picasso ed io ho reinterpretato secondo il mio pensiero. Mi riferisco a Guido Reni (Strage degli Innocenti), Raffaello (Incendio di Borgo, nelle Stanze del Vaticano), Michelangelo (Pietà di S. Pietro). Perché questa scelta? Ho immaginato la sagoma di questo aereo-uccello come una cosa viva e terrorizzante che piomba e riempie tutta la superficie del quadro, sconvolge le figure, le spezzetta, le scompone sulla superficie della tela impregnandola di sé e dei suoi lugubri effetti. Questo modo caotico delle immagini di scomporsi e ricomporsi in altre, senza un centro, mi sembra il più adeguato a fotografare una realtà, quella che viviamo ogni giorno, dove costa molta fatica trovare punti di riferimento e certezze per il futuro.

 






"... se percorro la città ecco gli orrori della fame... " Geremia 14, 17/21, tecnica mista su carta, cm 48x33, 2004



B.C.
Nel dipinto si scorge, fra l’altro, una Madonna che, come un’antica regina bizantina, presenta il Figlio all’umanità. Ma l’aspetto più inquietante dell’immagine sacra è che Gesù bambino è come in croce, con l'allusione a un destino già attuato. Cosa ha ispirato questa inedita iconografia  della sofferenza?


N.G.
Ti riferisci all’altro dipinto, pure intitolato “F117”. L’immagine di Maria, che solleva in alto il Bambino Gesù con le braccia aperte a croce, nell’atto di offrirlo al Mondo, a tutto il mondo, vuole essere un simbolo di speranza *. La Vergine offre il figlio all’umanità e ci invita ad offrire un po’ di noi stessi, a superare gli egoismi, ad essere solidali, a lavorare per la pace e per la giustizia tra tutti i popoli.






Bambino, solo, nella notte. Tecnica mista su carta, cm 50x35, 2004


B.C.
Quanto ti costa emotivamente creare un'opera?


N.G. Io mi sento sempre emotivamente coinvolto nel mio lavoro, quando dipingo, disegno o plasmo una scultura. Questo da sempre, ce l'ho nel mio DNA. Ma voglio parlarti di un altro tipo di sofferenza, di fatica che non viene messa in evidenza quando ci si riferisce all'opera di un artista. Ho già accennato, in altro senso, a questo argomento nel corso di questa nostra chiacchierata. Mi riferisco alla lotta, una vera e propria battaglia che ogni artista ingaggia nel momento che inizia un'opera. E gli avversari sono la tela, i colori, i pennelli, il legno, il marmo, i metalli, ecc. Ci sono momenti che sento che essi si rifiutano di assecondare i miei pensieri, diventano cose vive che si oppongono, non vogliono diventare forme, volumi, immagini. Piegare la resistenza dei materiali che resistono, a volte, mi costa non poca fatica.






Ecce pargulo, tecnica mista su carta, cm 48x33, 2004


L' intervista qui pubblicata, raccolta nel lontano 2004, è stata per me un evento molto raro e coinvolgente e posso dire sinceramente che nella mia lunga esperienza di storica dell'arte ho sentito pronunciare da Nino Giammarco parole di verità, ho percepito empatia umana, profondità di sentimenti e ho apprezzato tangibilmente le alte idealità e la dedizione assoluta al fare artistico dell'Artista abruzzese, purtroppo scomparso un mese fa. Gli artisti muoiono, ma le loro opere, se grandi, restano per sempre!


* Il commento di Giammarco si riferisce alla prima opera pubblicata all'inizio dell'intervista