Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale - Anno V - n.19 - Maggio-giugno 2009
INTERFERENZE 

FOTOGRAFIA CINEMA TEATRO


Mario Giacomelli: tempo e natura in bianco e nero
di Francesca Pardini





Nonostante in Italia la fotografia assuma ancora il volto di un fatto secondario o accessorio dell'arte, ultimamente stanno prendendo piede importanti novità editoriali che vanno incrementando le bibliografie di grandi fotografi nostrani tra cui Luigi Ghirri, Gianni Berengo Gardin, Franco Fontana e Mario Giacomelli. Per quest'ultimo è stata la nipote Simona Guerra a regalarci un percorso inedito attraverso la trasposizione di sette ore di una conversazione intima avuta con il fotografo, trasportandoci nelle sue riflessioni sulla vita, la poesia e la fotografia raccontata come modalità espressiva per relazionarsi con l'esistenza ( Mario Giacomelli. La mia vita intera , Bruno Mondadori, Milano, 2008).
Il tempo che passa o che è appena trascorso, che ha lasciato segni e tracce nel paesaggio, nei volti degli anziani, nei paesi, nella cultura, il tutto viene colto e interpretato da Giacomelli (Senigallia, Ancona, 1925-2000) senza alcuna evidente nota nostalgica o drammatica, ma con la volontà di rivelare, come un poeta, ciò che di eterno e di immutabile appare di fronte al caduco fluire dell'esistenza. La vastissima produzione del fotografo, profondamente legata alla ricerca sugli aspetti umani e paesaggistici della sua terra natale, lungi dall'evocare un ricordo privato, assume un respiro corale che abbraccia l'umanità intera lasciando tracce di una memoria e di una cultura collettiva. Prima di sperimentare la fotografia, Giacomelli passa per la pittura e la poesia e, senza mai abbandonarle del tutto, si può dire che le abbia successivamente inglobate nel linguaggio fotografico . “ Fotografare per me vuol dire scrivere, dice Giacomelli, ma vuol dire anche segno. Non è importante la messa a fuoco, ma creare una certa atmosfera, qualcosa che sia il più vicino possibile a quello che tu volevi .” Nella prima immagine da lui scattata, L'approdo , si coglie il movimento di una scarpa vecchia che emerge dal mare restituita dalle onde, e sin dall'inizio l'attenzione al movimento viene resa da uno sfumato della stampa in bianco e nero, mentre già il titolo dell' immagine racchiude in sé quella sensibilità poetica di chi vuole “raccontare”, per immagini, ciò che a prima vista non è facile cogliere.
In un affascinante accostamento di realismo ed astrazione, Giacomelli ci racconta un'umanità scandita dal tempo della natura ( Paesaggi ; La buona terra ; Il canto dei nuovi emigranti ), dalle tappe e dalle scelte della vita di ogni uomo ( Un uomo, una donna, un amore ; Io non ho mani che mi accarezzino il volto; Vita d'ospizio ; Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ) , dalla cultura e dalla storia che passano attraverso determinati luoghi ( Scanno; Lourdes; Puglia; Loreto ).
Lontano dall'idea di cogliere l' unicum alla Cartier- Bresson, un attimo fugace ed irripetibile, Giacomelli ama osservare, studiare e creare degli spazi visivi che presentino il soggetto in una naturale quanto innovativa inquadratura visiva. E' il caso dei paesaggi della terra marchigiana, dove ogni elemento si fa segno di una composizione grafica quasi astratta, in cui la profondità dei “campi” si appiattisce in vere e proprie campiture dal bianco al nero. Basti pensare alla foto Fiamme sul campo, dove il sole filtrato da un campo di grano diviene per Giacomelli la visionaria immagine di una processione di quelle in cui i bambini, queste figure che vanno a fare la comunione, passano, tutte vestite di bianco; gli alberi neri, controluce, sembravano persone che stavano ferme ai lati a guardarla passare.
La successiva serie La Presa di coscienza sulla natura si propone infatti come la visualizzazione dall'alto di una empatia profonda verso la terra, su cui Giacomelli interviene, quando necessario, per dar vita a nuove forme e dinamiche visive. “ Hai visto i paesaggi? Sono come la materia di Burri… Qui è un albero, ma se lo taglio così è un fosso, un'ombra, una scalanatura nella terra ”.
Il contrasto del bianco e nero portato all'estremo è invece l'elemento più evidente nella serie dedicata ad alcuni momenti di ricreazione nel seminario vescovile di Senigallia, ( Io non ho mani che mi accarezzino il volto ) dove le figure assumono le sembianze di sagome oscure non perfettamente definite nei contorni, che fluttuano in uno spazio illimitato e bi-dimensionale. La magia dei movimenti, l'atmosfera di leggerezza e di vitalità che trasmettono questi Pretini (questo il nome originario della serie), si trasforma in una “tragica dolcezza” nelle due serie dedicate alla vecchiaia e all'angoscia, sempre dichiarata dallo stesso Giacomelli, di fronte all'irrefrenabile scorrere del tempo. Qui i volti in primo piano, le rughe dei corpi avvizziti segnati dall'età, la vita sospesa entro le mura dell'ospizio, non




Serie: L'infinito, 1986




Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961-63


Serie : Presa di coscienza sulla natura, 1954




Serie : Vita d'ospizio, 1955-57
hanno la pretesa documentaristica di una cronaca da reportage, ma vogliono essere la traccia dell'atmosfera ben più toccante che Giacomelli ha vissuto nei nove anni di frequentazione di quei luoghi. Se l'attenzione verso il soggetto umano è ben più forte dell'aspetto tecnico, queste immagini vengono ad ogni modo scattate con una sapienza costruttiva che nulla lascia al caso. Per questo Giacomelli non rinunciò mai al soggetto e alla sua riconoscibilità, ma se ne avvalse per dar vita a composizioni di grande suggestione formale, dando valore al segno fotografico in una valenza sempre più grafica ed essenziale e sfruttando al massimo le potenzialità espressive dei contrasti e degli sfumati chiaroscurali. Nascono allo stesso modo le serie di argomento poetico, fotogrammi che materializzano le parole scritte da altri, e l'immaginazione di chi le ha lette per centinaia di anni. La serie A Silvia viene ispirata dal volto malinconico di una giovane di un orfanotrofio, mentre nelle colline delle Marche Giacomelli ritrova le siepi dell' Infinito . Io sono Nessuno accompagna invece i versi di Emily Dickinson, che il fotografo ci mostra con una serie fatta di spazi vuoti e di assenze, ombre, manichini, sagome sfocate.
L'apparente, e a tratti malinconica, normalità quotidiana, si converte dunque in un sistema iconico che va oltre l'idea del tempo, fissandosi nella nostra memoria in una nuova dimensione tanto realistica quanto onirica e surreale.

(Le immagini sono di Mario Giacomelli: www.mariogiacomelli.it )

 

Francesca Pardini è laureata in Storia dell'Arte Contemporanea e specializzata in Fotografia contemporanea.


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