Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Work in progress - Anno VIII - n.31 - Gennaio - marzo 2012
L'ARTE NEL MIRINO 


DAL VENETO AL GIAPPONE: i FOTOGRAFI DELL'800

di Francesca Pardini



La sontuosa Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, vicino Padova, apre le porte fino al 1 aprile 2012 ad una mostra fotografica dal forte impatto storico e divulgativo. In maniera trasversale tratta di quella ricerca, curiosità e integrazione di culture che dalla metà dell’Ottocento hanno visto molti fotografi varcare i confini del proprio continente per esplorare, e documentare, le culture altre. East zon, il titolo della mostra, mette in risalto proprio quel salto effettuato dai tre veneti: Felice ed Antonio Beato e Adolfo Farsari, dall’est italiano all’Oriente asiatico!
Le tre storie si sono intrecciate e inseguite lasciando che ciascuno dei tre potesse contribuire alla storia della fotografia del periodo in modo diverso e riconoscibile.
I fratelli Beato, di Corfù, cominciarono a sperimentare le tecniche fotografiche quando la ricerca all’immagine era ancora e soprattutto ricerca documentaria di grandi eventi e fatti storici, e quando le spedizioni in guerra dei fotografi (da quella di Crimea alla guerra dell’Oppio in Cina) erano missioni da portare a termine con efficaci e rapidi risultati. Il continuo miglioramento delle tecniche fotografiche permetteva inoltre una sostituzione della figura del disegnatore e dell’incisore con quella del fotografo, e dunque una crescente diffusione e moltiplicazione del prodotto realizzato.
In questo contesto, la possibilità di giungere in luoghi ancora inesplorati, rendeva l’idea dell’Oriente ancora più affascinante e intrigante, contribuendo alla ricerca tutta europea di un nuovo esotismo da cercare in terre lontane.
I due fratelli Beato lavorano fianco e fianco assieme al reporter di guerra James Robertson (poi marito di loro sorella) seguendo la sua società a Costantinopoli, in Crimea e in India. Ma dal 1860 le loro strade si dividono: Antonio si reca in Egitto, Felice approda dal 1863 in Giappone, continuando a viaggiare negli anni successivi.
Antonio Beato rimase in Egitto per quarant’anni realizzando un importante numero di fotografie, per la maggior parte raffiguranti monumenti o geroglifici (meno dedito alle riprese delle immagini di vita e del folclore locale, come i suoi contemporanei Zangaki, Lekegian, Arnoux), indicando una sua precisa specializzazione nelle viste di architetture monumentali, ma anche la risposta alle più frequenti richieste dei compratori del tempo, che erano attratti e interessati alle testimonianze dell’Egitto antico e alla ricostruzione della storia dei faraoni più che alla vita della gente comune.
Le fotografie sono perciò caratterizzate da una forte accentuazione prospettica, dovuta anche all’uso di un obiettivo grandangolare e di una stampa dai forti contrasti che accentuano la profondità di campo.
La variegata produzione del fratello Felice invece, indaga con meticolosa attenzione tutta una serie di categorie sociali, di mestieri, di professioni, usanze e curiosità: samurai, arcieri, geisha, contadine o mercanti sono catturate con l’occhio dello “straniero” che non vuole perdersi nessun particolare. Per questo le foto non sono catturate in modo naturale, ma sono ricostruite e inserite in scenografie spesso fatiscenti e al limite della costruzione teatrale.
Il risultato estetico di questi ricchissimi album è quello di una delicata e raffinata sintesi della tradizione realistica occidentale con l’astratto lirismo giapponese. Se infatti Beato influenzerà, anche con l’insegnamento, la tecnica dei fotografi giapponesi, dall’altra rimane affascinato dall’immaginario delle silografie ukiyoe (Hokusai, Hiroshige) da cui riprende la mancanza di riferimenti prospettici e la cura artigianale e scrupolosa dello stile coloristico. Le fotografie sono infatti segnate da una tenue colorazione ad acquarello eseguita dai pittori locali, che enfatizza solo alcune parti delle immagini. Questa combinazione di tecniche e di suggestioni culturali è il risultato di un lunghissimo lavoro non privo di ostacoli: nel 1866 l’archivio di F. Beato viene distrutto da un casuale incendio, ed è costretto negli anni successivi a ripercorrere i soggetti fotografati.
La figura di Adofo Farsari entra in campo nell’85 quando F. Beato gli affida il controllo e la gestione dell’intero studio. Si può ben dire che Farsari abbia seguito le orme di Beato e che ne abbia ancor più valorizzato l’attenzione alla qualità della colorazione. Le sue tecniche fotografiche influenzarono notevolmente la fotografia come forma d’arte in Giappone, in Cina e in altri paesi d’Oriente. Armato di una precedente esperienza imprenditoriale, con Farsari l’aspetto commerciale della riproducibilità e diffusione delle immagini divenne primario: le foto sono concepite quasi come souvenir – ricordo e sono impreziosite con confezioni ricercate di madreperla e intarsi.
Tornato a Vicenza nel 1890, contribuirà più di ogni altro a creare e a plasmare una nuova idea del Giappone, di cui sicuramente oggi rimane una traccia nell’ immaginario collettivo contemporaneo.










----------




------




----------




-------

Francesca Pardini, laureata in Storia dell'Arte Contemporanea, é specializzata in Fotografia contemporanea
francespardini@hotmail.it

E' vietata la riproduzione anche parziale dell'articolo e delle immagini © Copyright