La sontuosa Villa Contarini a Piazzola sul Brenta, vicino Padova,
apre le porte fino al 1 aprile 2012 ad una mostra fotografica dal
forte impatto storico e divulgativo. In maniera trasversale tratta
di quella ricerca, curiosità e integrazione di culture che
dalla metà dell’Ottocento hanno visto molti fotografi
varcare i confini del proprio continente per esplorare, e documentare,
le culture altre.
East zon, il titolo della mostra, mette
in risalto proprio quel salto effettuato dai tre veneti:
Felice
ed Antonio Beato e Adolfo Farsari, dall’est italiano all’Oriente
asiatico!
Le tre storie si sono intrecciate e inseguite lasciando che ciascuno
dei tre potesse contribuire alla storia della fotografia del periodo
in modo diverso e riconoscibile.
I fratelli Beato, di Corfù, cominciarono a sperimentare le
tecniche fotografiche quando la ricerca all’immagine era ancora
e soprattutto ricerca documentaria di grandi eventi e fatti storici,
e quando le spedizioni in guerra dei fotografi (da quella di Crimea
alla guerra dell’Oppio in Cina) erano missioni da portare
a termine con efficaci e rapidi risultati. Il continuo miglioramento
delle tecniche fotografiche permetteva inoltre una sostituzione
della figura del disegnatore e dell’incisore con quella del
fotografo, e dunque una crescente diffusione e moltiplicazione del
prodotto realizzato.
In questo contesto, la possibilità di giungere in luoghi
ancora inesplorati, rendeva l’idea dell’Oriente ancora
più affascinante e intrigante, contribuendo alla ricerca
tutta europea di un nuovo esotismo da cercare in terre lontane.
I due fratelli Beato lavorano fianco e fianco assieme al reporter
di guerra James Robertson (poi marito di loro sorella) seguendo
la sua società a Costantinopoli, in Crimea e in India. Ma
dal 1860 le loro strade si dividono: Antonio si reca in Egitto,
Felice approda dal 1863 in Giappone, continuando a viaggiare negli
anni successivi.
Antonio Beato rimase in Egitto per quarant’anni realizzando
un importante numero di fotografie, per la maggior parte raffiguranti
monumenti o geroglifici (meno dedito alle riprese delle immagini
di vita e del folclore locale, come i suoi contemporanei Zangaki,
Lekegian, Arnoux), indicando una sua precisa specializzazione nelle
viste di architetture monumentali, ma anche la risposta alle più
frequenti richieste dei compratori del tempo, che erano attratti
e interessati alle testimonianze dell’Egitto antico e alla
ricostruzione della storia dei faraoni più che alla vita
della gente comune.
Le fotografie sono perciò caratterizzate da una forte accentuazione
prospettica, dovuta anche all’uso di un obiettivo grandangolare
e di una stampa dai forti contrasti che accentuano la profondità
di campo.
La variegata produzione del fratello Felice invece, indaga con meticolosa
attenzione tutta una serie di categorie sociali, di mestieri, di
professioni, usanze e curiosità: samurai, arcieri, geisha,
contadine o mercanti sono catturate con l’occhio dello “straniero”
che non vuole perdersi nessun particolare. Per questo le foto non
sono catturate in modo naturale, ma sono ricostruite e inserite
in scenografie spesso fatiscenti e al limite della costruzione teatrale.
Il risultato estetico di questi ricchissimi album è quello
di una delicata e raffinata sintesi della tradizione realistica
occidentale con l’astratto lirismo giapponese. Se infatti
Beato influenzerà, anche con l’insegnamento, la tecnica
dei fotografi giapponesi, dall’altra rimane affascinato dall’immaginario
delle silografie ukiyoe (Hokusai, Hiroshige) da cui riprende la
mancanza di riferimenti prospettici e la cura artigianale e scrupolosa
dello stile coloristico. Le fotografie sono infatti segnate da una
tenue colorazione ad acquarello eseguita dai pittori locali, che
enfatizza solo alcune parti delle immagini. Questa combinazione
di tecniche e di suggestioni culturali è il risultato di
un lunghissimo lavoro non privo di ostacoli: nel 1866 l’archivio
di F. Beato viene distrutto da un casuale incendio, ed è
costretto negli anni successivi a ripercorrere i soggetti fotografati.
La figura di Adofo Farsari entra in campo nell’85 quando F.
Beato gli affida il controllo e la gestione dell’intero studio.
Si può ben dire che Farsari abbia seguito le orme di Beato
e che ne abbia ancor più valorizzato l’attenzione alla
qualità della colorazione. Le sue tecniche fotografiche influenzarono
notevolmente la fotografia come forma d’arte in Giappone,
in Cina e in altri paesi d’Oriente. Armato di una precedente
esperienza imprenditoriale, con Farsari l’aspetto commerciale
della riproducibilità e diffusione delle immagini divenne
primario: le foto sono concepite quasi come souvenir – ricordo
e sono impreziosite con confezioni ricercate di madreperla e intarsi.
Tornato a Vicenza nel 1890, contribuirà più di ogni
altro a creare e a plasmare una nuova idea del Giappone, di cui
sicuramente oggi rimane una traccia nell’ immaginario collettivo
contemporaneo.