Fin dall’infanzia Johann Wolfgang von Goethe aveva sognato l’Italia attraverso le seducenti immagini delle incisioni settecentesche presenti nella casa paterna, finchè, spinto dal desiderio irrefrenabile di vedere “la terra ove fioriscono i limoni”, era partito alla scoperta della nostra Penisola il 28 agosto del 1786. Dopo un lungo viaggio, con tappe a Verona, a Vicenza e a Venezia, in cui per la prima volta vide il mare, attraverso l’Emilia Romagna, la Toscana e l’Umbria, Goethe, già poeta affermato e consigliere di stato del Principato di Weimar, giunse nella Città Eterna portando con sé le sue opere, ma anche le matite e gli acquerelli per uno struggente bisogno di trascrivere ogni emozione di quel viaggio tanto agognato nei luoghi della propria ispirazione poetica. Con il falso nome di Philip Moeller alloggia in una pensione in via del Corso n.18 assieme ad altri connazionali, fra cui il pittore Joahnn Heinrich Tischbein, autore del famosissimo ritratto di Goethe nella campagna romana, conservato a Francoforte.
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Il golfo di Napoli e il Vesuvio |
Paestum, Tempio di Nettuno, dorico esastilo metà V° sec. a.C. |
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La casa romana del poeta tedesco è divenuta dal 1997 museo, biblioteca e rinomato centro culturale; nella stanza ove abitò ancor oggi si può vedere il colossale calco in gesso della testa di Giunone Ludovisi (I sec.d.C.) che ogni mattina allietava i suoi risvegli e che egli definiva “come un canto d’Omero!”.
La sua vita romana si svolge fra impegni culturali, studi e visite ai monumenti antichi; frequenta la pittrice neoclassica Angelica Kauffmann, il Caffè Greco e gli ambienti letterari cari ai viaggiatori tedeschi; è letteralmente rapito dalla bellezza di Campo Vaccino (nome con cui si definivano le rovine dei Fori, divenuti al suo tempo zona di pascolo!), dalla grandiosità del Colosseo, dal fascino delle piazze e delle Ville romane, che spesso il poeta-pittore ritrae nei delicati acquerelli. E’ abbagliato dai dipinti della Cappella Sistina, rapito dalle opere di Raffaello nelle Stanze Vaticane, da lui considerato il vertice dell’arte figurativa, ma anche affascinato dalle testimonianze scultoree dell’antichità, conservate nei Musei Vaticani, alle quali si era interessato sotto la guida interpretativa dell’archeologo Winckelmann. “In altri luoghi bisogna andare a cercare le cose importanti- annota in “Viaggio in Italia” il 7 novembre 1786 - qui se n’è schiacciati, riempiti a sazietà….. E la sera si è stanchi e spossati dal tanto vedere e ammirare”.
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Paestum, Tempio di Atena, dorico esastllo, con parte del frontone e del fregio, VI sec. a.C. |
Fra studi e occupazioni varie ha perfino il tempo di innamorarsi di un’ostessa dell’Osteria della Campana, in vicolo Savelli, di nome Faustina, cui forse sono dedicati alcuni ardenti versi delle Elegie Romane.
Un anno dopo parte alla volta di Napoli, meta tradizionale per i viaggiatori del Grand tour nel ‘700, che raggiunge dopo diverse tappe soggiornandovi per un mese, fra studi naturalistici e gite in luoghi famosi per bellezza panoramica e fascino storico: Posillipo, il Vesuvio, che scala per tre volte e vede in eruzione, gli scavi di Pompei e di Ercolano. Visita anche il sito di Paestum e i grandiosi templi dorici di Atena, Poseidone ed Era, dinanzi alla cui severa maestosità il Poeta rimane colpito per la potenza che emanano le loro forme arcaiche, così rudi ed essenziali, il poderoso ordine dorico delle colonne, le robuste architravi, i giganteschi capitelli. Il viaggio continua e decide di raggiungere il Sud ancora inesplorato, dove pensa di appagare anche i propri interessi botanici e geologici.
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Paestum (SA). Tempio dorico di Hera, detto la Basilica, con 9 colonne sulla fronte e 18 sui lati, 550-540 a.C. |
Assieme all’amico pittore Christoph Kniep, che trasformerà in bei disegni le tappe di questo itinerario, Goethe raggiunge via mare la Sicilia e in questa terra calda e assolata, lui, “fuggiasco nordico”, come egli stesso si definisce, viene letteralmente conquistato dai colori accecanti e dal rigoglio della natura meridionale: “...la purezza dei contorni, la morbidezza dell’assieme, la gamma delle sfumature, l’armonia che univa cielo, mare e terra..“ gli offrono sensazioni che porterà dentro di sé per tutta la vita e che gli faranno dire: “la Sicilia è la chiave di tutto” (Viaggio in Italia).
Il poeta tedesco è uno dei primi viaggiatori a cogliere quella che è l’unicità del Bel Paese, alla cui bellezza del paesaggio s’intreccia una seconda natura che per secoli artisti, mecenati, artigiani hanno concorso a creare con opere geniali. Per un Artista che scriverà “La Teoria dei colori”, testo basilare per la cultura pittorica dell’800 e del ‘900, incentrato sull’analisi, sull’accostamento e sull’effetto psicologico ed emotivo delle tinte, i fenomeni cromatici della natura del Sud, così abbagliante e ricca di luminosità, saranno fondamentali per i suoi studi futuri, considerati da Goethe stesso motivo di grande orgoglio.
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Sicilia. Tempio di Segesta (TP), forse dedicato ad Afrodite, dorico esastilo, fine V°sec. a.C.
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Agrigento, Tempio dorico della Concordia, 440/430 a.C. |
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Nella visione dei templi di Segesta e di Agrigento e del teatro di Taormina il suo amore per l’architettura antica troverà pieno appagamento: "La posizione del tempio è sorprendente - dice Goethe in Viaggio in Italia nel commentare Segesta - al sommo d'una vallata larga e lunga, in vetta a un colle isolato e tuttavia circondato da dirupi, esso domina una vasta prospettiva di terre". L’immersione nella cultura magno-greca e nel mito favorirà la perfetta comprensione dei testi omerici che il Poeta rilesse proprio in Sicilia, cogliendone l’essenza profonda e la ricchezza immaginativa, come annota nel suo diario “ora l’Odissea è davvero per me una parola viva!” (17 maggio 1787).
Dalle pagine degli appunti goethiani l’immagine della nostra Penisola risulta dunque idilliaca, una mitica Arcadia in cui il canto dei pastori si trasforma in poesia e la natura in arte; tuttavia, malgrado la sua utopistica idealizzazione dell'Italia, dobbiamo apprezzare l’attrazione sincera del Poeta per una cultura millenaria, ispiratrice d’arte e grandiosa quanto le proprie rovine. A tal punto Goethe amò l’Italia da sperare di trovare l’estremo rifugio proprio a Roma, in un luogo suggestivo e romantico, presso la Piramide Cestia, che oggi conserva invece le spoglie di suo figlio August!
Dalla felice esperienza italiana nascerà, tra l’altro, Elegie romane, un'opera in cui mito e realtà si fondono, natura e antichità si mescolano a creare un ideale assoluto quanto astorico di bellezza, come s’intuisce da questi suoi versi, emuli della poesia d’amore latina e pervasi di sottile erotismo: “ E non mi erudisco (forse) mentre spio le forme dell’amabile/ seno, guido la mano giù per i fianchi?/ Solo allora intendo il marmo; penso e raffronto, / vedo con occhio che sente, sento con mano che vede”.
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Taormina (Messina), Teatro greco-romano, II sec. d.C. |
Bruna Condoleo, storica dell'arte, giornalista, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
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