Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale - Anno I - Sett./ott. 2006- n. 5
RITRATTI E AUTORITRATTI 

L'INTERVISTA


Omaggio a Ugo Guidi
di Bruna Condoleo




Intervista a Vittorio Guidi, figlio dello scultore scomparso nel '77.

Bruna Condoleo: Visitando il recentissimo ed emozionante “Museo-casa-atelier” di Ugo Guidi istituito a Vittoria Apuana, nel comune di Forte dei Marmi, ho potuto constatare la dedizione che Lei ha da sempre nutrito nei confronti dell'opera di suo padre, di cui è conservatore. Quale ritiene la qualità più originale della produzione scultorea di Ugo Guidi?

Vittorio Guidi: L'impressione che Lei ha avuto dalla visita al Museo Guidi indica la volontà della nostra famiglia di non disperdere questo patrimonio culturale che testimonia l'ininterrotto operare di mio padre nel campo dell'arte. La sua qualità più grande è stata, secondo me, la ricerca di una scultura che approdasse ad una forma plastica sempre più pura, ma nel rispetto della realtà. Scrisse, infatti: "Colgo sempre dalla vita che mi circonda quell'emozione essenziale senza la quale non v'è forma poetica".

B. C.: Qual'era il rapporto che suo padre aveva con il materiale da modellare?

V.G.: Negli anni giovanili scolpisce il marmo che poi abbandona per la pietra, quando crea opere che si relazionano con l'arte romanica. La creta è il materiale che adopera per realizzare un modellato di sapore etrusco, lavorandola con gradina e scalpello per far vibrare la luce sulla superficie, oppure per creare sculture piene di poesia, che colloca all'aperto affinché acquistino patine naturali. Negli anni ‘60 le terrecotte sono spesso colorate, mentre le opere degli anni '70 sono ricoperte con argilla cruda, affinchè risaltino le soluzioni artistiche a forte impatto architettonico. Il poroso tufo versiliese, capace di catturare la luce, si adatta sia alle forme armoniche e flessuose sia a quelle scattanti ed innervate. A tal proposito diceva: "Incidere il sasso duro della Versilia, umile materia, è per me fonte d'ispirazione. Mi suggerisce in una visione embrionale il lento svolgersi dei piani e dei volumi". Nelle grandi opere degli anni ‘70 adopera il travertino romano, tanto simile al tufo.

B. C.: Ugo Guidi ha volentieri affrontato temi inerenti alle pratiche sportive, come nella monumentale opera “I calciatori”, creata per il Centro Tecnico Federale di Calcio a Coverciano. Tuttavia sono gli animali e tra questi il cavallo, i soggetti prediletti in assoluto. C'è un motivo particolare di questa scelta?

V.G.: La figura, lo sport e i soggetti religiosi sono motivi ricorrenti nella sua opera, ma il mondo animale, pregno di candore, innocenza e poesia, è l'anello della catena naturale, fondamentale nel relazionarsi dell'uomo con l'ambiente in cui vive. Il cavallo, poi, è tra le creature più nobili che abbiano aiutato l'uomo nella mobilità e nel lavoro: la plasticità della muscolatura, l'armonia dei movimenti, la leggerezza della corsa, la potenza e la forza trasformate in lievità nel salto, il guizzo muscolare nel trotto, l'umidità dell'occhio, la mitezza del brucare, sono osservati e rappresentati ripetutamente da Guidi sempre con stupore.

B.C.: La preferenza del Maestro a rappresentare il mondo animale piuttosto che quello umano deriva da un gusto di primordialità o da un'innata ritrosia?

V.G.: Sia la donna, nei suoi aspetti di femminilità e maternità, sia la figura maschile sono presenti nella ricerca artistica di mio padre al pari del mondo animale. Il gusto di una primordialità, intesa non come elementarità e ritorno a forme primitive, ma come atto finale di un percorso di progressiva eliminazione di attributi accessori, appartiene alla fase finale dello sviluppo artistico di Guidi. La ritrosia e la riservatezza, proprie del suo carattere, potevano essere interpretate diversamente, come scrisse la poetessa Magda De Grada: "Ugo Guidi era silenzioso perché voleva difendere la sua vita privata, era modesto non perché non sapesse quale fosse il suo valore, ma perché dovevano essere gli altri a scoprirlo", ed i più cadevano di fronte ad una sincera amicizia, alla gioia esternata nello scolpire e nel disegnare o dinanzi ai sereni momenti che gli procuravano gli affetti familiari.

B.C.: Nelle molte opere in cui compare assieme alla figura del cavallo il cavaliere, come la terrecotta “ Amazzone” o “Cavallo e cavaliere”, avviene una perfetta simbiosi, come se nella voluta ruvidezza del materiale e nell'arcaicità delle forme si fosse attuata una fusione fisica e spirituale tra uomo ed animale. Condivide questa interpretazione?

V.G.: Totalmente. Soprattutto nelle opere dell'ultimo periodo si avverte questa profonda simbiosi tra uomo ed animale. Il cavaliere, novello centauro, s'innesta all'interno della struttura corporea dell'animale, nel rispetto di un'architettura che, sommando un impianto geometrico con forme di parallelepipedi, riconduce allo studio del blocco di marmo che l'Artista attua in quegli anni. I corpi, dilatati in ampi campi, sono innervati da una grafia essenziale che ha perso espliciti riferimenti a realistiche connotazioni, pervenendo ad un'essenzialità assoluta e ad un'organicità dell'insieme, esaltata dalla ricercata consunzione del travertino. Oserei affermare che è proprio il monumento equestre che ci restituisce le tensioni, le ricerche, i dubbi e gli smarrimenti del XX secolo.

B.C.: Il riferimento al romanico, alla scultura di Wiligelmo e di Tino da Camaino è presente nell'opera di Guidi, cui si aggiunge una tendenza alla deformazione espressiva. Suggestioni dall'arte di Marino Marini ed il sodalizio con gli amici Ottone Rosai, Ernesto Treccani, Mino Maccari, Alfonso Gatto… confluiscono in un'esperienza complessa, dalla quale sono nate forme drammatiche, come "Testa di donna" o figure totemiche, come  "Cattedrale”.

V.G.: Mio padre ha seguito una formazione che ha percorso tutti i gradi dell'istruzione artistica tradizionale, per passare all'apprendistato presso Arturo Dazzi, suo maestro ed all'insegnamento di scultura, per quasi un trentennio, all'Accademia di Belle Arti di Carrara. Inoltre il sodalizio con tanti artisti ed uomini di cultura lo ha posto in un privilegiato osservatorio, appartato sì, ma non chiuso in un eremitaggio provinciale. Riesaminando le opere, a ventinove anni dalla scomparsa, ritengo che mio padre abbia affrontato un percorso veramente autonomo, risentendo ovviamente delle tensioni e del clima scultoreo del suo tempo. Ha ripercorso in solitudine e con lunghi tempi di maturazione un itinerario artistico sempre alla ricerca di valori estetici ed etici che sono al di là del tempo.

B.C.: Marzio Dall'Acqua ha avvicinato le sculture di Guidi a quelle dell'isola di Pasqua, volendone esaltare, quale elemento dominante, il mistero primordiale. Tuttavia dalle sue opere, grezze e quasi sbozzate, a mio avviso nasce un senso di precarietà, che esprime la finitezza dell'essere nel mondo più che il senso della perennità. Le esperienze di vita di suo padre possono confermare quest'analisi?

V.G.: La perdita del padre a sei anni ed una fanciullezza malata hanno contribuito alla formazione di un carattere introverso e pessimista, anche se serenità e gioia le ritrovava nella magica terra della Versilia. Nella sua scultura confluiscono questi sentimenti, anche nella ricerca di una forma assoluta, capace di rendere perenne il precario: egli tenta di risalire ad un concetto primo, ad una forma-archetipo, ove figure o animali rientrino nella materia, in un percorso contrario al “tollere” michelangiolesco. Nella perdita progressiva dei dettagli, le figure assumono l'aspetto di idoli, inglobando una sacralità tipica dei totem, dei menhir, delle stele votive, mete del percorso umano. Tuttavia nella materia-forma corruttibile è imprigionato il concetto del precario, silente testimone dell'inarrestabile progressione del tempo.

 



Ugo Guidi: Amazzone, terracotta, '75




Cavallo vincitore, bronzo, 1966




Portiere, travertino, 1969. Forte dei Marmi, Stadio Comunale





Testa di donna, terracotta pat., 1973





Cavallo e cavaliere, travertino, 1974, (h. m.1,68)





Cavallo cattedrale, travertino, 1973



Il nuovo Museo-casa-atelier Ugo Guidi a Vittoria Apuana (LU)


Ugo Guidi nasce a Querceta (Lucca), in Versilia, nel 1912, ma sceglierà come abitazione-studio la residenza a Forte dei Marmi, dove si trasferisce stabilmente dal ‘50. Consegue la licenza di scultura prima e di architettura poi, presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara, sotto la guida dello scultore Arturo Dazzi e dal ‘48 fino al ‘77 detiene la cattedra di scultura presso la stessa Accademia. Risale al ‘54 l'inizio del legame di amicizia con il pittore Ottone Rosai, con lo scrittore Pietro Santi e con il gallerista Paolo Marini, che lo avvicinano all'ambiente culturale fiorentino, dove realizza la prima personale nel '56, alla Galleria “La Strozzina” di Palazzo Strozzi. Da allora espone con frequenza, sia in Italia sia all'estero; di particolare rilievo la serie ininterrotta di personali, tenutesi alla Galleria “L'Indiano” di Firenze. Avendo giocato da giovane come portiere di calcio, il soggetto sportivo sarà sempre presente nella sua produzione: nel ‘69 realizza la monumentale opera Il Portiere per lo Stadio di Forte dei Marmi e nel '74 I Calciatori per il Centro Tecnico Sportivo di Coverciano. Per le sue opere ha utilizzato diversi materiali, dalla terracotta al legno, dal ferro al travertino, “creando forme che emergevano da una natura primordiale, ancestrale e fossile” (Francolini); tuttavia non si è occupato soltanto di scultura.  La sua ultima produzione è costituita, infatti, da un ciclo di tempere, esposte nella personale del ‘77 presso “La Vecchia Farmacia” di Forte dei Marmi, intitolata “Il Grido”, dalle quali traspare il dramma dell'artista nella lotta contro un male incurabile, che lo ha condotto a morte, lo stesso anno, nella casa-studio di Vittoria Apuana. Di lui hanno scritto De Micheli, Treccani, Soffici, Nicoletti; sue opere sono state donate alla GNAM di Roma, alla Galleria di Palazzo Pitti a Firenze e all'Accademia di Belle Arti di Carrara, ai Musei di Santiago del Cile e alla Modern Gallery di New York. Da pochi mesi il suo studio a Vittoria Apuana, già luogo d'incontro per numerose figure di primo piano della cultura italiana del ‘900, è divenuto Museo-casa-atelier (www.luccaterre.it).
(biografia curata da Francesca Secchi)



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