Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale - Anno VII - n.30 - Ottobre-dicembre 2011
RITRATTI E AUTORITRATTI 



Omaggio a Vettor Pisani
di Bruna Condoleo



Dedichiamo la rubrica al Maestro Vettor Pisani, da poco scomparso, riproponendo un'intervista esclusiva, a me rilasciata come curatrice della mostra Il cavallo nell'arte. L'archetipo e l'immagine, svoltasi a Roma nell'ottobre –novembre 2003, presso il Museo Canonica in Villa Borghese. Nell'occasione dell'esposizione di due opere di Vettor Pisani (che ripropongo di seguito), il Maestro rispose all'intervista utile per il catalogo con una dissertazione colta e illuminante per la conoscenza del suo pensiero sull'arte e sulla vita, che ho sempre ritenuto molto indicativa della personalità complessa di un artista-filosofo, antesignano di nuovissime tendenze, creatore di idee-opere di straordinaria suggestione. Non credo opportuno parlare della sua arte, ma mi sembra significativo leggere le "sue" parole, ricche di profondità e di cultura, dalle quali voglio ritagliare una frase che, a mio avviso, sintetizza il suo convincimento più tenace: L'arte arriva dove non arriva il pensiero né il ragionamento.

B.C. Negli anni '70, Lei ha realizzato nell'ambito del movimento Concettuale azioni emblematiche, tese ad evidenziare l'asservimento della condizione umana ai preconcetti dilaganti del potere, dei tabù, dei miti, del rigido razionalismo. Da “L'eroe da camera. Tutte le parole dal silenzio di Duchamp al rumore di Beuys ” fino ad oggi, qualcosa è rimasto inalterato, forse la speranza di poter con l'arte incidere sulla riflessione esistenziale?

Vettor Pisani: Non credo che il lavoro di un artista abbia degli scopi o voglia dare risposte a quesiti molto razionalizzabili: io vedo l'opera come qualcosa che nasce anche dalla solitudine, dal silenzio, dalla distanza che egli ha di fronte alla vita. Da tutte queste motivazioni di carattere politico, sociologico o ideologico gli artisti sono molto distanti. Certamente gli anni '70, che seguirono al '68, sono gli anni della creazione di un sogno di libertà in Occidente, quindi un momento storico importante, una cerniera del tempo, dell'immaginazione, della gioventù di allora, sogno finito purtroppo tragicamente o nel nulla o nel terrorismo. Io non credo appunto che il lavoro di quegli anni avesse delle motivazioni ideologiche, né il concettualismo viene dalla condizione di quel momento che invece voleva essere, per lo meno nelle più ampie intenzioni, di carattere emotivo e rivoluzionario. Io ritengo che tutta l'arte moderna sia concettuale nel senso che nasce da alcuni artisti delle Avanguardie storiche e quindi ha sviluppato un particolare atteggiamento; penso innanzi tutto a Duchamp, al Dada, al Surrealismo, che certamente è più barocco e visionario ed appartiene al sogno; ma da Duchamp si sviluppa, sia in Europa che negli Stati Uniti, un filone dell'arte che porta al Concettuale in senso stretto, mi riferisco, ad esempio, a Joseph Kosuth o ad altri atteggiamenti che seppur contengono aspetti visionari e materici, continuano ad essere arte mentale.
 

Cartesio e l'asino, collage digitale, 1999, coll. priv.
Tuttavia il Concettualismo in Occidente non nasce con gli anni '70, né appartiene alla modernità: già Leonardo diceva che l'arte è un fatto mentale e non artigianale; appartiene ad una visione provinciale l'idea di un'arte della manualità, tutta l'arte è invece prodotta da una condizione che appartiene più alla filosofia che non all'artigianato. Anche recentemente il ritorno alla pittura (e lo hanno dimostrato anche i risultati e l'esaurirsi del fenomeno) è rifluito nel provincialismo e nel mercato e “mercatino” dell'arte.

B.C. Marcel Duchamp è dunque la personalità che ha maggiormente inciso sulla sua idea di creatività, sia per la priorità assegnata al processo mentale sulla realizzazione artistica, sia per l’uso di metafore, simboli, ibridazioni di immagini. Sappiamo quale importante ruolo ricopra nella sua poetica l’indagine attorno al mito (soprattutto quello edipico); ma che valore assegnare a quest’ultimo in una società che sembra ripudiare il legame con il passato?

V.P. Io non credo che la cultura rinneghi mai il passato, è soltanto l’ignoranza che non ha conoscenza del passato. Anzi a ben guardare più l’opera diventa moderna, più è agganciata alla memoria della propria cultura, cito l’Ulisse di Joyce oppure poeti come Ezra Pound: io non vedo mai un colpo di forbici tra un’opera e l’altra. Se pensiamo alle Avanguardie storiche che sembravano così rivoluzionarie o al Futurismo, che auspicava addirittura la distruzione dei musei, ci accorgiamo che artisti come Boccioni erano dei filologi che avevano una memoria di tipo classico, mai sganciata completamente dal passato. Quando si perde il rapporto con la memoria si cade nell’oblio, ma soprattutto nella demenza: il rapporto di continuità con il già avvenuto è estremamente importante, perché il presente è un attimo che lasciato a se stesso è nulla, per cui la continuità fra presente e passato è veramente ciò che spinge il pensiero e gli avvenimenti verso il futuro.

B.C.B.C. Parliamo delle due opere esposte nella mostra “Il cavallo nell’arte. L’immagine e l’archetipo” *: una inedita, “Cavallo del sogno”, ideata per la mostra, un esemplare bicefalo che si ricollega alla doppia simbologia del mito e l’altra, “Cartesio e l’asino”, immagine beffarda, protagonista della sua esposizione, al Trevi Flash Art Museum (Perugia, 2002), che ribalta una tradizione millenaria, la quale individua nel cavallo, non nell’asino, la figura mitica per eccellenza. Quali i motivi di questa scelta provocatoria, peraltro in linea con il suo anticonformismo artistico?

V.P.: Secondo me non esistono quelli che, per una sorta di comodità di espressione, chiamiamo i diversi regni della natura, partendo dal minerale, al vegetale, all’animale, all’umano e al divino. Credo invece che il creato sia un ibrido: il regno umano, che consideriamo così diverso, in realtà ha un rapporto di continuità con il regno animale molto evidente. Se pensiamo al nostro corpo, infatti, ritroviamo nella peluria, nei capelli avanzi di animalità che è ancora in noi. Sarebbe interessante per ognuno capire, a mò di indovinello, con quale animale ci si identifichi. Anche nell’arte esiste tutta un’evocazione di questi collegamenti: Napoleone che attraversa le Alpi con il cavallo bianco, Cristo sull’asino, gli asini di Goya…; una spartizione di questi regni, isolati nella scala dell’evoluzione, è cosa astratta. Darwin ha elaborato la tesi della nostra derivazione dalle scimmie, che mi sembra un’idea troppo azzardata e veloce, ma ciò non esclude che parte di queste teorie sia anche possibile. Il cavallo e l’asino: quando penso ai due animali, penso a Don Chisciotte e Sancio Panza, la regalità è il cavallo e l’asino è il servo e quindi le due figure sono legate tra loro. Gli animali sono dentro di noi anche quando non li vediamo: questo loro esistere in noi in maniera nascosta mi fa pensare al saggio di Freud, in cui egli analizza, sotto forma di rebus, la figura di un uccello, l’avvoltoio, nascosto nella veste della “Vergine e Sant’Anna” di Leonardo. In realtà l’animale è quello che ha dato l’immagine all’intera creazione, anzi nello Zodiaco le figure degli animali rappresentano l’intero universo. Il problema degli animali è dunque molto interessante, anche perché noi giochiamo con loro al massacro, a volte senza accorgercene, non tenendo conto della loro sensibilità che andrebbe più rispettata. I musei del mondo sono da sempre pieni di immagini di animali che rappresentano il nostro aspetto più nascosto: noi siamo per il 90% degli animali e solo una piccola parte appartiene a quell’aspetto che definiamo umano.


Cavallo del sogno, immagine digitale, 2003, coll. privata

B.C.: Anche l'asino, in maniera spesso antitetica al cavallo, è un animale ritenuto sacro, dalla tradizione biblica, ai riti iniziatici greci, finanche nella cultura cinese. Nell'opera “ Cartesio e l'asino”, peraltro accompagnata da una lirica della poetessa Mimma Pisani, si assiste ad una metamorfosi in atto, molto frequente nelle sue creazioni, di reminescenza apuleiana: rivincita della natura bestiale o recupero della smarrita spiritualità? Messaggio esoterico, monito etico, enigma, dissacrante ironia, o tutto assieme?

V.P.: Le cose vanno e vengono, per esempio studiosi o comunque filosofi come Guenon o come Evola affermano continuamente che i selvaggi non sono una generazione che sta per uscire dalla barbarie, ma potrebbe essere, al contrario, una civiltà che sta per ritornare allo stato primigenio e quindi evidentemente le due cose sono possibili entrambe. Dovremmo avere molta coscienza di questa doppia possibilità: ripeto, l'uomo ha sentito sempre il suo essere animale, tanto è vero che nella fiaba e nella letteratura immaginifica ha molto prodotto sull'argomento. L'idea dell'ibrido è il problema fondamentale dell'essere: se guardiamo i celebri quadri di Edipo e la Sfinge di Moreau o di Ingres, o, più vicino a noi, di Fernand Khnopff, che ha dipinto Edipo abbracciato ad una donna leopardo, possiamo capire la curiosità di questo pensiero. Ma soffermiamoci sull'opera di Moreau: Edipo guarda dinanzi a sé e vede la Sfinge, che è un animale ibrido, molteplice come la natura; è una specie di specchio in cui il protagonista si riflette e ritrova la curiosità, il panico, ma il saggio sa che l'io, cioè l'essere, rischia continuamente di essere assorbito dal molteplice e questo è il senso del quadro. L'io è qualcosa di isolato come la ragione, che, come diceva Kant, è una piccola isola nel mare smisurato dell'irrazionale. Anche l'io, che è il luogo dell'essere, è sospeso nell'universo, in attesa di essere riassorbito nuovamente nella totalità del molteplice. Tornando al cavallo, io sono più affascinato dall'asino: il nostro mondo, che è democratico, somiglia molto di più all'asino, mentre il cavallo è l'animale dell'aristocrazia, della regalità, del tiranno, se poi di colore bianco, esso acquista anche un simbolismo acceso. Penso al cavallo bianco di Beuys, che simboleggia il viaggio dello sciamano nell'universo e nella creazione; Cristo, invece, sceglie l'asino e lo cavalca per entrare a Gerusalemme, l'asino salva Gesù dalla strage degli innocenti… Dunque questi aspetti ideologici, ironici ed affettivi fanno dell'asino un animale meno aulico e meno astratto del cavallo; se poi pensiamo alla “Bella e l'asino”, quest'ultimo rappresenta anche i sentimenti, la passione, il gioco erotico che subisce l'uomo dinanzi alla seduzione della bellezza femminile. Se l'asino è una figura patetica, essa è anche filosofica e mi affascina sia per gli aspetti drammatici, sia per quelli di teatro iniziatico. Inoltre è un animale che non servendo più come un tempo, viene abbandonato a se stesso e rischia una vera e propria estinzione.

B.C.: Il fascino di sette esoteriche, come quella dei Rosacroce, cui Lei ha dedicato famosi lavori, ermetismo, assurdità e follia, sono alcuni temi della sua dimensione artistica, sempre a riprova dell'infinita distanza che separa la realtà dall'immagine di essa. L'idea sembrerebbe affine all'essenza magica dell'arte primitiva, se l'attualità politica e sociale non rappresentasse per Lei un interesse costante, come nell'opera “ Madonna della catastrofe ”. La sua profetica immaginazione ha spesso anticipato ibridismi che la scienza odierna sta compiendo con risultati inquietanti. Maestro, si definirebbe un moderno sciamano?

V.P.: Secondo me nulla si può anticipare, tutto accade lì ed in quel momento. Tutto quello che ho prodotto come visione non è un'anticipazione del futuro che ancora non è arrivato, ma è la scoperta del presente. In realtà se parliamo di clonazione, noi già viviamo in un universo di clonazione. Viviamo in un mondo in cui le cose vengono sostituite e assemblate, dando la possibilità di nuove forme, quindi la clonazione non è il futuro, ma è nella nostra cultura, direi da sempre. Penso ai due “S. Giovannino” del Caravaggio, conservati in due Musei romani, perfettamente identici di cui non sappiamo quale sia la copia. Rubens aveva ridipinto una “Deposizione”, ripresa dal Caravaggio, identica, ad esclusione di un solo personaggio, che rende molto curioso il rifacimento. Arnold Boecklin ha rifatto diverse versioni dell'”Isola dei morti” e potrei continuare…, dunque la “clonazione” in arte esiste da sempre e noi in realtà siamo già dei clonati: la scienza dimostrerà che siamo frammenti del nostro albero genealogico. La clonazione fa parte della cultura odierna e sarà sempre più avanzata: recentemente in Israele è stato clonato un pollo che nasce senza piume, cosa tragica, ma estremamente spiritosa se pensiamo che non avremo più bisogno di spennarlo! Così, prima o poi, nell'utopia l'uomo farà esattamente il contrario: forse si coprirà di piume per non essere nudo, lui che è l'unico essere al mondo che nasce nudo. Pensare di rivestirsi di pelliccia, oppure di piume, per eccesso di pudore, è l'effetto tragico e divertente di una cultura che va verso queste possibilità. La cosa interessante è che la scienza moderna sta rendendo possibile ciò che gli antichi avevano immaginato nel mito, come la sirena o gli animali fantastici. Perciò non siamo mai usciti dal mito né mai abbiamo abbandonato l'intuizione che fosse possibile manipolare la natura. Se parliamo di estinzione, io credo che anche gli animali estinti un giorno torneranno ad esistere, magari con delle modificazioni. La natura è capace di miracoli e ha l'incredibile capacità di ri-crearsi dal principio, che è uno degli aspetti più belli e salvifici del creato.

B.C.: Con quel che Jean Francois Lyotard ha definito “la condizione post-moderna”, sembra essersi attuata una completa rivincita dell'individualismo esasperato e una sconfitta del pensiero delle avanguardie, ancora pervaso dalla fiducia nel ruolo dell'arte. Lei ha fiducia nell'arte?

V.P.: In una mia affermazione un po' drammatica, ho scritto - l'arte non salverà il mondo -, ma in realtà solo l'arte salverà il mondo e lo farà attraverso la bellezza, la propria Musa che è poi l'eterno femminino. Dire artista concettuale non ha senso, perché un artista concettuale non è un artista, è invece un filosofo che non capisce l'arte; gli artisti concettuali non esistono, nel momento in cui si forza questa dimensione verso il filosofico, l'analitico, uno smette di essere artista, che invece è colui che intuisce, viaggia alla ricerca di una conoscenza e della verità, ma attraverso l'emotività, l'intuizione e la sensibilità. La razionalità, l'intelligenza è uno degli aspetti più limitativi dell'essere. “La Gioconda” scopre il senso della creazione, perché riesce a fare un lungo viaggio attraverso lo spazio-tempo, attraverso la materia, l'immagine, attraverso la sensibilità di Leonardo, cosa che non può fare né il filosofo, né lo scienziato. L'arte arriva dove non arriva il pensiero né il ragionamento, anche per questo motivo i filosofi sono stati sempre molto nemici dell'arte. Invece l'arte è un'immagine prodotta che spiega il meccanismo stesso delle immagini ed è più vicina alla verità di quanto non sia il ragionamento filosofico. Mai l'arte è stata così viva come in questo momento in cui si dice che sia morta: in realtà le Avanguardie storiche sono finite nel senso che è nata una società di avanguardie geografiche. Oggi esse si sono incarnate nella società e non c'è più bisogno, a livello di arte sperimentale, di fare certe cose, dal momento che è la stessa società che realizza tutto. Ad esempio, non abbiamo più bisogno di Gina Pane che si ferisce o delle macabre performance di Marina Abramovic: abbiamo le “Erike”, cioè una società che produce quella tragicità che a livello simbolico non è più necessario produrre, perché avviene nella realtà. Allora mai come adesso le Avanguardie sono state vive nel senso che i supermarkets sono dei Musei, le autostrade architetture perfette, insomma la società è diventata essa stessa artistica . Oggi saliamo su di un autobus che è completamente rivestito di forme colorate ed esso è un'immagine che “ingoia” i viaggiatori. Sono morti gli artisti, ma l'arte è più viva che mai, nel senso che tutti sono artisti e tutti vanno sul tram.



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