Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Work in progress - Anno IX - n.41 - Luglio - settembre 2014
RITRATTI E AUTORITRATTI 



Paolo Veronese e i capolavori ritrovati
di Bruna Condoleo



P. Veronese: Il festino in casa di Levi, olio su tela, 1573, Venezia, Gallerie dell'Accademia. La tela è ora esposta nella grande mostra "Paolo Caliari. Il Veronese. L'illusione della realtà", che si svolge a Verona presso il Palazzo della Gran Guardia


A chi visiti il Louvre non sarà sfuggita un’immensa tela situata proprio nella sala che conserva il ritratto di Monna Lisa, un po' offuscata dalla fama dell’opera leonardesca : si tratta di “Le nozze di Cana” di Paolo Veronese, artista veneto che, assieme a Tintoretto, è considerato uno dei geni rinascimentali più interessanti. In questi mesi l'Europa e l’Italia lo celebrano con diverse mostre, una delle quali si svolge al Palladio Museum di Vicenza, meno magniloquente e completa di quella veronese nel Palazzo della Gran Guardia, ma molto intrigante perché espone due capolavori del Veronese perduti e recuperati da pochi mesi in una villa privata!
Ma conosciamo meglio Paolo Caliari, detto il Veronese (Verona 1528), che giunge a Venezia poco più che ventenne, chiamato ad eseguire le tele che adornano Palazzo Ducale nella Sala del Consiglio dei Dieci, la più alta magistratura della Città. Le immagini che dipinge sono grandiose: figure e scene allegoriche ritratte con prospettive ardite, dal basso verso l’alto di cieli trasparenti. L’effetto delle composizioni è aulico e oltre le forme plastiche colpiscono soprattutto i colori limpidi, i rosa e i celeste, gli ori e i verdi che non prevedono la presenza di neri né di ombre brune, ma si accostano a tinte complementari, creando luminosità inedite. E’ stupefacente pensare che la teoria dei colori complementari e delle ombre colorate utilizzata intuitivamente dal Veronese, sarà scientificamente studiata e posta alla base della pittura impressionista dopo tre secoli: ma l'artista per la sua sensibilità cromatica è un autentico antesignano e anche il suo studio sulle diverse tonalità di bianco anticipa di due secoli l’arte del Tiepolo e gli studi di inizio '800 del paesaggista inglese Constable!!
Oltre agli illusionistici effetti prospettici che “sfondano” lo spazio dei soffitti o delle pareti preludendo già alla pittura barocca, una particolarità del linguaggio di Veronese consiste nella sua propensione per i temi laici, che ne fa un affabulatore eccezionale, un narratore fecondo e gioioso della Venezia cinquecentesca, dei suoi palazzi colonnati, dei banchetti sfarzosi, dell’ umanità pittoresca e cosmopolitica tipica della potente Città lagunare.




Allegoria della Navigazione: Tolomeo
Los Angeles County Museum of Art


Allegoria della Navigazione. Averroè
Los Angeles County Museum of Art


Nei dipinti della Chiesa di S. Sebastiano, cui attese per 15 anni, le Storie di Ester colpiscono per la monumentalità delle figure, per gli scorci spettacolari, per l’orchestrazione armoniosa delle tinte, ma l’elemento più moderno della sua pittura è da individuarsi nella ricerca di una sorta di concettualismo anticlassico che gli permette di pensare più alla tecnica pittorica che non al contenuto tematico, più all’effetto cromatico e alla sua gradevolezza estetica che non al significato filosofico dei soggetti. Paolo Veronese è un artista innovatore in più campi: sensazionale la decorazione di un’intera villa nobiliare, Villa Barbaro a Masèr (Treviso), costruita dall’amico Andrea Palladio in forme classicheggianti, dove egli inventa una serie di bellissimi trompe-l’oeil, diremo oggi, ovvero di prospettive illusionistiche che amplificano gli spazi, moltiplicano le vedute, ingannando l’occhio e la mente, ma consentendo a chi guarda di intuire la finzione pittorica! Insomma, se mi si concede il paragone, una sorta di Fellini in pittura!
Tornando alla singolarità pittorica del Veronese, è noto che, a causa di una gigantesca tela, intitolata dapprima “Ultima Cena”, ora esposta con altro titolo alle Gallerie dell’Accademia veneziana, egli dovette difendersi dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione che lo accusò di eresia per aver dipinto senza decenza il tema sacro per eccellenza e dunque intoccabile nella sua tradizionale iconografia. Ma cosa aveva dipinto Veronese di tanto indecente? Una cena in cui, oltre a Gesù e i dodici apostoli, ha raffigurato tante altre immagini di servi di tutte le specie, buffoni e nani di corte, alabardieri e lanzichenecchi, nobili e borghesi abbigliati con sgargianti colori, finanche cani…! (vedi prima foto in alto).


Allegoria dell'Astronomia


Allegoria della Scultura


Dagli atti del processo, avvenuto nel 1573, possiamo capire in che modo Veronese si sia salvato dall’incriminazione molto pericolosa per i tempi: alla domanda cruciale degli inquisitori del motivo di questi inserimenti scurrili sulla tela, Paolo rispose: "Noi pittori ci pigliamo la licenza che si prendono i poeti e i matti...” , mettendo in evidenza l’assenza del dolo, ma esaltando nel contempo la libertà inventiva e la legittimità fantastica dell’artista. In realtà, pur utilizzando nell'interrogatorio modi a volte "falsamente" ingenui e doverosamente ossequiosi, Veronese ribadisce l’autonomia dell’artista, che quando crea un'opera non pensa a regole oggettive, a criteri imposti dall’autorità, né sente alcun obbligo se non quello di assecondare la propria visione del mondo e dell’arte. Perciò la pena fu soltanto quella di mutare il titolo dell’opera: non più Ultima Cena, ma “Il festino in casa di Levi”, che allontana dall’opera il tema del sacramento eucaristico, permettendo una maggiore libertà inventiva! Una bella vittoria per i tempi e un insegnamento sempre attuale.
Tornando alla mostra di Vicenza, vi sono qui esposti due capolavori del Veronese ritrovati dopo secoli di sparizione, che vengono esposti assieme ad altre due bellissime tele concesse in prestito dal Los Angeles Country Museum of Art, che le ha acquistate nel 1974. Quest'ultime formavano con i capolavori perduti un insieme di 4 figure allegoriche: tre sapienti antichi con gli strumenti per la misurazione della terra e del cielo e una figura femminile, allegoria della scultura. Di dimensioni imponenti, resi con tonalità calde e affascinanti, i dipinti ornavano un palazzo pubblico veneziano al tempo in cui Veronese lavorava a fianco del Palladio nella Villa Barbaro; poi andarono dispersi e vennero alla luce i primi due negli anni ’70, come già accennato, e gli altri soltanto pochi mesi fa!.
La mostra, “Quattro Veronese venuti da lontano. Le Allegorie ritrovate”, organizzata con l’Univerità di Padova, in collaborazione con il Consorzio La Venaria Reale, è curata da Giovanni Agosti, Guido Beltramini e Vittoria Romani. Essa racconta per immagini anche la storia delle due recenti opere ritrovate a Verbania Pallanza, storia che s’intreccia con matrimoni nobiliari, collezionismo d’alto livello e personalità del mondo dell’arte del primo Novecento, come Umberto Boccioni e Bernard Berenson. Dunque due mostre dedicate al grande pittore da vedere, a Verona e a Vicenza fino al 5 ottobre 2014.


Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte



E' vietata la riproduzione anche parziale dell'articolo e delle immagini © Copyright