P. Veronese: Il festino in casa di Levi, olio
su tela, 1573, Venezia, Gallerie dell'Accademia. La tela è
ora esposta nella grande mostra "Paolo Caliari. Il Veronese.
L'illusione della realtà", che si svolge a Verona presso
il Palazzo della Gran Guardia
|
A chi visiti il Louvre non sarà sfuggita un’immensa
tela situata proprio nella sala che conserva il ritratto di Monna
Lisa, un po' offuscata dalla fama dell’opera leonardesca :
si tratta di “Le nozze di Cana” di Paolo Veronese,
artista veneto che, assieme a Tintoretto, è considerato uno
dei geni rinascimentali più interessanti. In questi mesi
l'Europa e l’Italia lo celebrano con diverse mostre, una delle
quali si svolge al Palladio Museum di Vicenza, meno magniloquente
e completa di quella veronese nel Palazzo della Gran Guardia, ma
molto intrigante perché espone due capolavori del Veronese
perduti e recuperati da pochi mesi in una villa privata!
Ma conosciamo meglio Paolo Caliari, detto il Veronese (Verona
1528), che giunge a Venezia poco più che ventenne, chiamato
ad eseguire le tele che adornano Palazzo Ducale nella Sala del Consiglio
dei Dieci, la più alta magistratura della Città. Le
immagini che dipinge sono grandiose: figure e scene allegoriche
ritratte con prospettive ardite, dal basso verso l’alto di
cieli trasparenti. L’effetto delle composizioni è aulico
e oltre le forme plastiche colpiscono soprattutto i colori limpidi,
i rosa e i celeste, gli ori e i verdi che non prevedono la presenza
di neri né di ombre brune, ma si accostano a tinte complementari,
creando luminosità inedite. E’ stupefacente pensare
che la teoria dei colori complementari e delle ombre colorate utilizzata
intuitivamente dal Veronese, sarà scientificamente
studiata e posta alla base della pittura impressionista dopo tre
secoli: ma l'artista per la sua sensibilità cromatica è
un autentico antesignano e anche il suo studio sulle diverse tonalità
di bianco anticipa di due secoli l’arte del Tiepolo e gli
studi di inizio '800 del paesaggista inglese Constable!!
Oltre agli illusionistici effetti prospettici che “sfondano”
lo spazio dei soffitti o delle pareti preludendo già alla
pittura barocca, una particolarità del linguaggio di Veronese
consiste nella sua propensione per i temi laici, che ne fa un affabulatore
eccezionale, un narratore fecondo e gioioso della Venezia cinquecentesca,
dei suoi palazzi colonnati, dei banchetti sfarzosi, dell’
umanità pittoresca e cosmopolitica tipica della potente Città
lagunare.
|
Allegoria della Navigazione: Tolomeo Los Angeles County Museum of Art
|
Allegoria della Navigazione. Averroè Los Angeles County Museum of Art
|
Nei dipinti della Chiesa di S. Sebastiano, cui attese per 15 anni,
le Storie di Ester colpiscono per la monumentalità
delle figure, per gli scorci spettacolari, per l’orchestrazione
armoniosa delle tinte, ma l’elemento più moderno della
sua pittura è da individuarsi nella ricerca di una sorta
di concettualismo anticlassico che gli permette di pensare più
alla tecnica pittorica che non al contenuto tematico, più
all’effetto cromatico e alla sua gradevolezza estetica che
non al significato filosofico dei soggetti. Paolo Veronese è
un artista innovatore in più campi: sensazionale la decorazione
di un’intera villa nobiliare, Villa Barbaro a Masèr
(Treviso), costruita dall’amico Andrea Palladio in forme classicheggianti,
dove egli inventa una serie di bellissimi trompe-l’oeil,
diremo oggi, ovvero di prospettive illusionistiche che amplificano
gli spazi, moltiplicano le vedute, ingannando l’occhio e la
mente, ma consentendo a chi guarda di intuire la finzione pittorica!
Insomma, se mi si concede il paragone, una sorta di Fellini in pittura!
Tornando alla singolarità pittorica del Veronese, è
noto che, a causa di una gigantesca tela, intitolata dapprima “Ultima
Cena”, ora esposta con altro titolo alle Gallerie dell’Accademia
veneziana, egli dovette difendersi dinanzi al Tribunale dell’Inquisizione
che lo accusò di eresia per aver dipinto senza decenza il
tema sacro per eccellenza e dunque intoccabile nella sua tradizionale
iconografia. Ma cosa aveva dipinto Veronese di tanto indecente?
Una cena in cui, oltre a Gesù e i dodici apostoli, ha raffigurato
tante altre immagini di servi di tutte le specie, buffoni e nani
di corte, alabardieri e lanzichenecchi, nobili e borghesi abbigliati
con sgargianti colori, finanche cani…! (vedi prima foto
in alto).
|
Allegoria dell'Astronomia
|
Allegoria della Scultura
|
Dagli atti del processo, avvenuto nel 1573, possiamo capire in che
modo Veronese si sia salvato dall’incriminazione molto pericolosa
per i tempi: alla domanda cruciale degli inquisitori del motivo
di questi inserimenti scurrili sulla tela, Paolo rispose: "Noi
pittori ci pigliamo la licenza che si prendono i poeti e i matti...”
, mettendo in evidenza l’assenza del dolo, ma esaltando nel
contempo la libertà inventiva e la legittimità fantastica
dell’artista. In realtà, pur utilizzando nell'interrogatorio
modi a volte "falsamente" ingenui e doverosamente ossequiosi,
Veronese ribadisce l’autonomia dell’artista, che quando
crea un'opera non pensa a regole oggettive, a criteri imposti dall’autorità,
né sente alcun obbligo se non quello di assecondare la propria
visione del mondo e dell’arte. Perciò la pena fu soltanto
quella di mutare il titolo dell’opera: non più Ultima
Cena, ma “Il festino in casa di Levi”, che allontana
dall’opera il tema del sacramento eucaristico, permettendo
una maggiore libertà inventiva! Una bella vittoria per i tempi e
un insegnamento sempre attuale.
Tornando alla mostra di Vicenza, vi sono qui esposti due capolavori
del Veronese ritrovati dopo secoli di sparizione, che vengono esposti
assieme ad altre due bellissime tele concesse in prestito dal Los
Angeles Country Museum of Art, che le ha acquistate nel 1974. Quest'ultime
formavano con i capolavori perduti un insieme di 4 figure allegoriche:
tre sapienti antichi con gli strumenti per la misurazione della
terra e del cielo e una figura femminile, allegoria della scultura.
Di dimensioni imponenti, resi con tonalità calde e affascinanti,
i dipinti ornavano un palazzo pubblico veneziano al tempo in cui
Veronese lavorava a fianco del Palladio nella Villa Barbaro; poi
andarono dispersi e vennero alla luce i primi due negli anni ’70,
come già accennato, e gli altri soltanto pochi mesi fa!.
La mostra, “Quattro Veronese venuti da lontano. Le Allegorie
ritrovate”, organizzata con l’Univerità di
Padova, in collaborazione con il Consorzio La Venaria Reale, è
curata da Giovanni Agosti, Guido Beltramini e Vittoria Romani. Essa
racconta per immagini anche la storia delle due recenti opere ritrovate
a Verbania Pallanza, storia che s’intreccia con matrimoni
nobiliari, collezionismo d’alto livello e personalità
del mondo dell’arte del primo Novecento, come Umberto Boccioni
e Bernard Berenson. Dunque due mostre dedicate al grande pittore
da vedere, a Verona e a Vicenza fino al 5 ottobre 2014.
|
Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
|
|